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Breve guida per far crescere al meglio le piante da interno in estate

Breve guida per far crescere al meglio le piante da interno in estate

Scritto da Massimo Tortorici, 30 Mag 2024. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Alcuni utili concetti per affrontare al meglio la stagione estiva e chiuderla con piante ancora più rigogliose e in salute

L’estate e alle porte o è già in atto (dipende da quando leggete questo articolo). Le nostre piante da interno si sono già risvegliate da qualche settimana, le tante ore di luce stanno alimentando a dovere la loro crescita. Che voi abbiate solo Pothos e Ficus o che siate collezioniste/i di Calathee, Alocasie o Begonie (auguri), una domanda pian piano si fa strada: resisteranno all’estate? Già, perché sebbene la stagione estiva sia piena di luce, nasconde diverse insidie e spesso la crescita delle piante che teniamo dentro non soddisfa le aspettative. Ci sono dei trucchi per riuscire a sfruttare al massimo il potenziale estivo? Certo che sì! Leggete questo articolo, fino alla fine, per saperne di più.

Dentro o fuori?

Arrivata la bella stagione, la prima domanda che dovreste porvi (se avete una zona all’aperto, tipo balcone, terrazzo, patio, etc.) è “Porto le mie piante fuori?”. La risposta è “dipende”. L’harden off, ossia il portare fuori le proprie piante per far sì che beneficino di tanta luce extra si basa su un concetto molto semplice: più luce=crescita migliore e più veloce. Assorbendo luce praticamente doppia rispetto a quanto avviene all’interno, le piante infatti fanno molta più fotosintesi, e producono quindi molta più energia utile a sviluppare fusti, foglie e, dove possibile, fiori. “E allora perché la risposta è “dipende”?” direte voi. Perchè prima di metter fuori le vostre piante dovete considerare alcuni aspetti. Approfondiamoli brevemente.

Avete un posto sufficientemente ombreggiato all’esterno?

Il sole diretto primavera-estivo può rovinare le foglie, in alcuni casi fiaccare pesantemente piante che sono abituate ad avere luce schermata. Per essere sicure/i di non traumatizzare fatalmente le vostre piante, è quindi molto importante posizionarle in posti dove arriva la prima luce del mattino o quella del tardo pomeriggio, o al massimo dove ci sia una bella tenda da sole a schermare i raggi solari nelle ore più calde. Informazione collaterale importante: le piante “da interno” vanno portate fuori quando le condizioni esterne sono ormai stabili e le temperature più o meno simili a quelle interne. Non fate che portate fuori le vostre piante ai primi caldi di marzo e poi le cestinate dopo un’ondata di freddo anomalo a fine aprile.

Sarete in grado di tenere costantemente idratate le vostre piante?

Ma certo, il caldo, voi direte. È ovvio fuori fanno 30 gradi bisognerà bagnare molto più spesso. Beh, la realtà è che il terriccio delle vostre piante si asciuga molto più rapidamente sì, ma perché la pianta assorbe molta più luce. Consuma di più, in altre parole (fa più fotosintesi). Poi certo, il caldo accelera l’evaporazione, motivo per cui è consigliabile innaffiare durante le ore più fresche della giornata. E il caldo fiacca anche alcune piante tipicamente più sensibili agli eccessi termici, come le “famigerate” Calathee. Dovrete quindi stare molto più sul pezzo, una pianta che in estate, all’interno, bagnate una volta a settimana, potrebbe aver bisogno di acqua ogni 2-3 giorni. Vietato dimenticarsi. O in alternativa, c’è una soluzione di cui parleremo a breve. Non mollate, continuate a leggere.

Siete disposte/i a vedere dei vuoti in casa?

Sembra il problema meno rilevante, ma in realtà, se le piante hanno un senso come complemento di arredo, anche questo è un tema rilevante. Se poi di piante ne avete solitamente tante e raggruppate in pochi punti della casa, beh allora diventa la vera questione. Un consiglio molto semplice? Magari potreste pensare di portare fuori solo piante che hanno sofferto più di altre in inverno, piante che hanno bisogno di recuperare foglie ed energie più rapidamente. E la luce, credetemi, è la migliore delle medicine.

Concimi, biostimolanti, o solo acqua?

Esauriti (si spera) i dubbi sul portare o non portare fuori le proprie piante da interno, passiamo al secondo macro-aspetto: il nutrimento. Domanda facile: a voi piacerebbe mangiare sempre pasta al pomodoro a pranzo e insalata/frutta per cena? Bene, se date solo acqua alle vostre piante, le farete sopravvivere sì, ma sempre con carenze più o meno gravi in termini di nutrimento. Una pianta ha bisogno di tanti diversi minerali, per poter svolgere al meglio i processi dai quali ottiene energia. L’acqua, che sia del rubinetto, micro-filtrata o minerale, ha una quantità base di elementi, ma ha bisogno di essere arricchita con tanto altro. Per questo c’è bisogno di usare un concime. In questo articolo c’è una panoramica completa sui concimi, con focus su quelli liquidi. In alternativa potreste provare a raccogliere acqua piovana, naturalmente azotata e quindi molto indicata per favorire la crescita di nuove foglie, ma forse in estate può risultare un po’ difficile. E i biostimolanti? Non trattateli come semplici integratori! Anzi, Algatron di Cifo può risultare molto utile, se somministrato prima dell’arrivo del grande caldo, o comunque prima di andare in vacanza. Leggete qui per ulteriori approfondimenti.

Conetti auto-irriganti: modalità turbo inserita

Ed eccola, quella che le donne e gli uomini di marketing chiamerebbero “killer application”, l’elemento che spariglia le carte. Un oggetto apparentemente innocuo, spesso utilizzato solo quando si va in vacanza. In realtà, i conetti auto-irriganti, comunemente chiamati “conetti” vanno considerati come dei veri e propri strumenti di irrigazione, alternativi alla combo mano-annaffiatoio. In molti casi funzionano molto meglio di quest’ultima. Il principio è semplice, inserite il conetto nel terreno, lo riempite di acqua, srotolate il tubicino e lo immergete in un contenitore pieno d’acqua; il conetto verrà costantemente alimentato di acqua, e altrettanto costantemente erogherà umidità attraverso le sue pareti in argilla. Risultato? La pianta sarà sempre idratata, patirà meno il caldo e soprattutto percepirà meno il rischio di rimanere all’asciutto. Spesso, in estate, le piante paradossalmente arrestano la propria crescita perché, nonostante la molta luce a disposizione, le temperature sono troppo elevate e ogni tanto sentono il terriccio troppo asciutto. Vanno in stand-by quindi. Con i conetti auto-irriganti Blumat questi problemi svaniscono: non solo la pianta percepirà meno pericoli, ma crescerà molto più rigogliosamente, soprattutto se parliamo di Alocasie, Anthurium, Begonie, Calathee, e tutto il mondo delle Aracee in generale. I conetti vanno in automatico, sempre e comunque, l’unica cosa che potete regolare è la quantità d’acqua erogata, la velocità, posizionando il contenitore d’acqua più in basso (più lento) o più in alto (più lento) rispetto al punto in cui il conetto si innesta nel terreno. Ne consegue che in estate potreste probabilmente usare i conetti per l’intera stagione! Ma da fine settembre in poi, quando la luce comincia a ridursi drasticamente e le piante cominciano a rallentare, bisognerà monitorare la situazione: se il terriccio comincia ad essere troppo zuppo, vuol dire che è arrivato il momento di rimuovere il conetto e conservarlo per la prossima estate.

Stroncare i parassiti sul nascere

L’estate, come abbiamo detto, è la stagione della luce e del caldo; purtroppo però è anche quella dei parassiti. Che si tratti di cocciniglia, ragnetto rosso o tripidi, tutti hanno in comune un paio di aspetti: si riproducono molto velocemente e sono in grado di vanificare tutti gli sforzi nostri e delle nostre piante nella ricerca della crescita e della rigogliosità. Le regole ferree da seguire sono due, semplici, ma spesso sottovalutate:

  • Osservate le vostre piante più volte alla settimana. Verificate se le foglie hanno il colore giusto, insospettitevi a dovere se compare qualche macchia, se qualche foglia cade o se le nuove foglie non si aprono correttamente. A volte bisogna osservare le piante da molto vicino, il ragnetto rosso non è propriamente così facile da vedere ad occhio nudo.
  • Intervenite tempestivamente; con un prodotto specifico, aggiungerei. Quando c’è un’infestazione in corso, bisogna affrontarla di petto. La velocità di riproduzione dei parassiti è inesorabilmente sostenuta e qualunque rimedio fatto in casa, per quanto teoricamente corretto, potrebbe non funzionare. Ormai sul mercato ci sono soprattutto prodotti biologici, non fatevi scrupoli ad acquistarli e ad utilizzarli con frequenza e dosaggi consigliati.

Seguite attentamente queste due regole e non dovrete passare l’inverno a rimpiangere quella pianta tanto rigogliosa che ad un certo punto ha cominciato a perdere tutte le foglie fino a morire.

Conclusioni

Insomma, l’estate può sembrare una stagione agevole per la cura delle piante da interno, ma non lo è affatto, per molti versi. O comunque, spesso ci creiamo delle aspettative che vengono disattese. Solo affrontandola con la dovuta attenzione e con i giusti prodotti, a fine settembre potrete dire: “Però, quanto sono cresciute!”

Massimo Tortorici

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Tripidi: come riconoscerli ed eliminarli per sempre

Tripidi: come riconoscerli ed eliminarli per sempre

Scritto da Massimo Tortorici, 17 Apr 2024. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Piccolo approfondimento su un parassita potenzialmente in grado di infestare un intero ambiente di piante indoor

Nelle stagioni calde, si sa, le nostre piante da esterno e anche quelle da interno crescono visibilmente. Un periodo d’oro, quello che va da marzo ad ottobre, da sfruttare al massimo per godere di piante sane e rigogliose nel resto dell’anno. Ci sono però alcuni elementi di disturbo che si manifestano anche e soprattutto in questa stagione. Stiamo parlando, ovviamente, di parassiti. Tra i più sottovalutati ci sono loro, i tripidi, insetti fitofagi, visibili ad occhio nudo, che sono soliti raggrupparsi sulle foglie più tenere delle nostre piante ornamentali (e non solo). I sintomi sono chiari: foglie che si decolorano, con tante mini-cicatrici, crescita completamente bloccata, debolezza generale. I rimedi disponibili sul mercato non sono tanti, come per altri amici parassiti (vedi afidi e cocciniglie). Proprio per questo è ancora più importante capire come riconoscere i tripidi e come intervenire in caso di infestazione.

Come riconoscere i tripidi e perchè bisogna non sottovalutarli

Allo stadio larvale/giovanile, i tripidi hanno un aspetto longilineo (circa un paio di millimetri), colore giallino e strisciano lungo la superficie della foglia come dei veri e propri vermetti. Li si può trovare isolati, ma è comune vederli in gruppetti, sulla stessa foglia. Una volta cresciuti, i tripidi assumono una lunghezza circa doppia, colorazione brunastra/nera e, soprattutto, sono provvisti di ali! Ed è questa la caratteristica che li rende più fastidiosi di altri parassiti. Mentre gli altri parassiti in genere si limitano a rimanere sulle piante dove risiedono le uova, o comunque passano da una pianta all’altra tramite contatto, o trasportati da fattori esterni (vedi afidi), i tripidi possono infestare interi ambienti outdoor/indoor per via aerea. Un problema non da poco. Vi conviene quindi aggredire un’infestazione il prima possibile. Vediamo come.

I (pochi) rimedi contro i tripidi

Dimenticate le innumerevoli soluzioni suggerite per la cocciniglia, per i tripidi il prodotto che funziona al meglio è uno solo: il piretro. Sul mercato ci sono diversi prodotti a base di piretro, come Piretro Garden di CIFO (PFnPO). Uno dei pochi prodotti “chimici” tuttora consentito in agricoltura biologica, il Piretro è un valido alleato anche contro afidi, aleurodidi, bruchi (come quelli che solitamente infestano i gerani). Una volta acquistato quindi torna utile anche per altri scopi. Comunque, pur lasciando un alone sinistro sulla lamina fogliare, il composto non viene assorbito dai tessuti, ma agisce solo per contatto. È quindi molto importante irrorare bene tutta la chioma della pianta, in modo da “beccare” quanti più tripidi possibile. Un paio di trattamenti dovrebbero bastare, stiamo parlando comunque di un prodotto aggressivo.

Ci sarebbe anche la soluzione “Olio di Neem”, l’antiparassitario bio per così dire “universale”. Efficacia leggermente più bassa del piretro, è consigliabile il suo utilizzo solo se proprio ne avete in casa un bel po’ e non volete svenarvi a comprare un altro prodotto.

La rimozione manuale dei tripidi? Divertente, sì, apparentemente efficace, ma la realtà è una sola: dopo aver pulito bene le foglie, tempo 10-15 giorni e le larve gialline di tripidi ricompariranno magicamente. Provare per credere.

Si può fare prevenzione contro i tripidi?

Certo che sì! Il problema, come per tutti i metodi di prevenzione, siamo noi che dobbiamo attuarli. Bisogna prima di tutto credere nell’efficacia di metodi/prodotti, ma soprattutto bisogna poi essere costanti. I cicli di prevenzione dovrebbero essere ripetuti per tutto il ciclo vegetativo della pianta. L’obiettivo è rendere inospitali le foglie delle nostre piante e i prodotti che possono aiutare in tal senso sono due:

  • Polvere di Roccia: composto a base di minerali, esercita un’importante azione disidratante sulla lamina fogliare, azione che rende, di fatto, le foglie meno appetibili per gli insetti masticatori. Consentito in agricoltura biologica, è in effetti molto utile utilizzarlo su piante già attaccate in passato e come potenziale protettore verso larve minatrici e una serie di malattie fungine.
  • Sapone Molle: eh già, questo prodotto non è utile solo contro la cocciniglia. Il sapone molle, come noto, lava la superficie fogliare e la rende più scivolosa, non solo per le cocciniglie, ma per qualsiasi tipo di insetto voglia stazionarvi, magari per stare lì a succhiar linfa. Se ne avete in casa, perché non provarlo.

Conclusioni

Lo avrete capito, i tripidi sono a tutti gli effetti una minaccia per le nostre piante ed è importante riconoscerli e non sottovalutarli. Solo un rapido riconoscimento e l’attuazione delle giuste contromisure permetteranno alle piante attaccate di superare al meglio l’inconveniente e soprattutto di tornare a crescere sane e rigogliose!

Massimo Tortorici

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Come far rifiorire un’orchidea

Come far rifiorire un’Orchidea

Scritto da Massimo Tortorici, 27 Feb 2024. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Tutto quello che bisogna sapere per far fiorire nuovamente le proprie Orchidee

Le Orchidee. Tra le poche piante che, durante il loro ciclo di vita passano dall’essere considerate bellissime, stupende, a brutte, inutili, insignificanti. Eh già i fiori delle Orchidee sono preponderanti molto più che per altre piante. No di certo per il profumo, praticamente inesistente, e solo parzialmente per il loro leggendario aspetto estetico. Il motivo principale per il quale i fiori di un’orchidea “fanno così tanto la pianta” è che durano settimane, in molti casi mesi, se siete brave/i.

Ed è così che quando le Orchidee perdono i fiori andiamo nel panico e non sappiamo più cosa farci con quella pianta piena di radici a vista, bassa, con 4-5 foglie piatte e insignificanti. A meno che non si sappia come farle rifiorire. Ecco, questo articolo è per voi, voi che siete tentate/i di relegare in un angolino la vostra Orchidea sfiorita o, peggio ancora, cestinarla (sì, succede anche questo).

Come funziona un’Orchidea

Le Orchidee sono piante epifite, cioè in natura crescono aggrappate a tronchi e rami di alberi; le radici sono pressoché esposte all’aria, e nutrono la pianta mantenendosi umide tramite la pianta ospite e l’aria circostante. La fioritura è, come tutti sappiamo, contraddistinta da fiori più o meno grandi, molto appariscenti, dai colori e forme più disparate. Una pianta che ha fiori di tale caratura deve, per ovvi motivi, avere una struttura che le permetta di assorbire tanto nutrimento e di trasformarlo in energia; è per questo che le Orchidee hanno un apparato radicale così ingombrante oltre che forte (devono pur sempre aggrapparsi ad un supporto). Ed è per questo che le foglie di un’Orchidea, soprattutto per le Phalaenopsis (la varietà in assoluto più diffusa, ma quello che scriveremo qui vale un po’ per tutte le varietà di Orchidea), sono così turgide e carnose. Ecco, banalmente, foglie e radici sono i due elementi endogeni che fisiologicamente determinano la capacità per un’Orchidea di fiorire in futuro.

Come e perchè cimare uno stelo sfiorito

Prima di approfondire le cure di radici e foglie, parliamo però di un aspetto fondamentale, propedeutico alla ri-fioritura: il trattamento degli steli sfioriti.
Per prima cosa, dobbiamo distinguere tra steli secchi e steli verdi: se lo stelo sfiorito comincia a seccare, dalla cima alla base, c’è poco da fare, va tagliato. Non bisogna aspettare che secchi del tutto, se già la prima metà è seccata, meglio non perdere tempo. Il taglio va fatto il più vicino possibile al punto di uscita dal fusto, lasciando però almeno un nodo (2 nodi, se il primo è praticamente adiacente al fusto). I nodi sono quelle intaccature che sembrano dividere ad intervalli regolari gli steli. Tagliando in questo modo daremo alla nostra Orchidea due alternative: a) produrre un nuovo stelo a partire dal nodo dello stello cimato; b) far spuntare un nuovo stelo direttamente dal fusto.

Il taglio di uno stelo di Orchidea: una questione di stile

Non è detto che gli steli sfioriti vadano tagliati. Eh già, se gli steli, dopo aver perso i fiori, rimangono verdi, avete molteplici possibilità! Potete:

  • Lasciare gli steli così come sono: ricominceranno a fiorire a partire dalla punta
  • Tagliare gli steli ad un’altezza a piacere, poco al di sopra di uno specifico nodo: una nuova ramificazione con fiori spunterà da uno de nodi sottostanti il taglio
  • Tagliare gli steli alla base, come descritto nel paragrafo precedente.

Naturalmente, se avete la fortuna di avere un’Orchidea a 2 o più steli, potete sbizzarrirvi e tagliare a vostro piacimento, magari provando tutte e 3 le modalità. È solo una questione di gusto estetico, niente di più.

“Fatta la cimatura degli steli sfioriti, quindi, la mia Orchidea rifiorirà!” No, non basta, c’è bisogno che una serie di altre cose siano a posto, e non sto parlando di congiunzioni astrali. Vediamo di che si tratta.

Rinvaso sì o rinvaso no?

Le nuove radici delle Orchidee, a differenza di quanto avviene per la maggior parte delle piante che abbiamo nelle nostre case, spuntano fuori dal fusto che, in genere, è al di sopra del terriccio. Vedere spuntare una nuova radice di Orchidea è sempre emozionante, il suo colore verde acqua è il simbolo della salute. Le stesse radici all’interno del vaso costituiscono l’elemento in base al quale decidere se un’Orchidea ha bisogno di acqua o no (9,9 volte su 10 le Orchidee sono coltivate in vasi trasparenti). Capire quindi se un’Orchidea ha bisogno di un rinvaso è molto più facile rispetto a tante altre piante. Quando cominciano ad essercene tante di più rispetto al substrato (rapporto 60-70% radici, 30% substrato), allora occorre fare un rinvaso. Altrimenti, statene certe/i, sarà molto dura mantenere costantemente umide le radici e quindi assistere ad una nuova fioritura. Giusto un paio di raccomandazioni: fate il rinvaso solo se la vostra Orchidea non è in fase di fioritura, lo stress potrebbe interromperla; utilizzate solo un misto di fibra, chips di cocco e bark (qui un approfondimento sui vari elementi), diffidate da sedicenti “terricci per orchidee” che contengono torba o addirittura una percentuale di terriccio. Questi ultimi sono il modo migliore per far marcire le radici di un’Orchidea.

L’importanza delle foglie

La nascita di nuove foglie di Orchidea non sarà di certo un evento così emozionante, ma è pur sempre fondamentale. Ricordate che radici sane e, soprattutto, tante foglie disponibili, aumentano le possibilità che la vostra Orchidea rifiorisca. Più foglie significa più fotosintesi e averne almeno 4-5 al loro posto è di fondamentale importanza per la produzione dell’energia necessaria per un processo così impegnativo come è la fioritura. Quindi preservatele e ripulitele spesso dalla polvere con un panno umido.

Luce diretta o finestra a nord?

Quante volte avete visto Orchidee posizionate davanti a finestre dove però non arriva sole diretto? Trattasi di finestre esposte a Nord, grado più grado meno, che quindi forniscono la giusta combinazione di luce/temperatura utile al mantenimento della fioritura. Già, questo in primavera/estate. Ma in autunno o, peggio ancora in inverno? La luce autunno-invernale è, lo sappiamo, meno intensa (il sole è più lontano dal nostro emisfero), e la quantità di ore luce giornaliera è decisamente limitata. La vicinanza ad una finestra esposta a nord, potrebbe non bastare a fornire i fotoni sufficienti a far rifiorire la vostra Orchidea. Se necessario, quindi, spostatela già a novembre/dicembre, in stanze meglio esposte, dove entra per qualche ora luce diretta. Nel caso i raggi solari dovessero toccare per qualche ora l’Orchidea, non sarebbe un problema; come detto, il sole invernale non scotta. Quando vedrete spuntare e crescere un nuovo stelo voglioso di fiorire, capirete che avete fatto la mossa giusta.

Temperatura e umidità

Dando per scontato che sappiate che le Orchidee non devono essere esposte a correnti d’aria fredda, né posizionate vicino ai caloriferi, è importante che la temperatura non scenda mai al di sotto dei 16 gradi. L’umidità è fondamentale, ma solo all’interno del vaso (le Orchidee non vanno mai nebulizzate, si rischiano pericolosissimi ristagni d’acqua tra le ascelle foliari). La bagnatura, neanche a dirlo, va fatta solo per sub-irrigazione (30 minuti circa), mai dall’alto.

Conclusioni

Lo avete capito, l’Orchidea va trattata come tutte le altre piante; e cioè la fioritura va considerata come un processo extra, bellissimo sì, molto duraturo, ma pur sempre extra. Le Orchidee funzionano se hanno la giusta luce, se le radici sono sane, areate e idratate. Concentratevi su questi semplici aspetti e vedrete che la fioritura sarà una normale conseguenza.

Massimo Tortorici

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Grow Lights: come scegliere quelle giuste

Grow Lights: come scegliere quelle giuste

Scritto da Massimo Tortorici, 14 Nov 2023. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Piccola guida per capire meglio cosa sono le grow lights, quando utilizzarle e quali parametri guardare per scegliere quelle giuste.

Quante volte, dopo un’estate in cui le vostre Alocasia sono esplose di tante nuove foglie, vi siete ritrovate/i a piangere ogni singola foglia che ingialliva e veniva giù. Quante volte avete maledetto voi stesse/i per aver innaffiato senza attenzione la vostra Monstera, causando quelle orribili macchie marroni sulle foglie costruite con tanta pazienza? O anche solo quanto avete lottato contro la depressione provocata dal vedere le vostre piante super-attive andare in riposo vegetativo per mesi interi? Questo articolo è per voi! Parleremo delle ormai famosissime “Grow Lights”, spiegheremo perché queste sono il miglior alleato per trascorrere un inverno sereno insieme alle nostre piante coltivate indoor, e soprattutto, capiremo quali aspetti considerare prima di procedere ad un eventuale acquisto.

Perchè acquistare una o più grow lights

Prima di addentrarci negli aspetti tecnici utili per comprendere come funzionano le grow lights, cerchiamo di capire in quali casi queste possono essere utili.
Le grow lights altro non sono che “simulatori del sole” o meglio, fonti di luce artificiale che simulano perfettamente quella naturale. Possono quindi essere utili in due diverse situazioni:

  • avete un angolo di casa abbastanza buio e volete comunque collocarci una pianta che secondo voi ci sta da Dio (le piante finte non sono una possibilità accettabile)
  • il drastico e inesorabile calo invernale delle ore di luce naturale (e dell’intensità di questa luce) vi terrorizza o semplicemente vi siete stufati di vedere le mie piante ferme per mesi e mesi.

In entrambi i casi le grow lights possono fare al vostro caso. Vediamo quindi cosa sono, come utilizzarle al meglio e quali fattori considerare prima dell’acquisto.

Non semplici lampade a led

E già. Se pensate che le Grow Lights siano semplici lampade al led, magari più potenti delle solite, vi sbagliate. Se pensate anche che una grow light debba essere necessariamente blu o violetta o rossa, anche qui siete fuori strada. Le Grow Lights sono, traducendo in italiano, “luci artificiali per (la crescita delle) piante”. Ciò che le rende speciali e diverse rispetto alle classiche lampadine a led, è la frequenza emessa. Una frequenza specifica, che spazia dai 400 agli 800 nano-metri (Nm) che non fa altro che simulare la luce solare. Impiegate da anni per coltivazione indoor a scopi professionali, negli ultimi anni le grow lights hanno subito diverse evoluzioni, diventando di recente un articolo estremamente interessante anche per i semplici hobbysti/plantlovers. L’innovazione principale consiste nell’impiego di luce bianca, o meglio, luce che dal nostro occhio viene percepita come bianca. Queste grow lights evolute vengono chiamate “Luci a spettro completo” e sono quelle su cui ci concentreremo in questo articolo.

Quante ore al giorno vanno utilizzate?

Arrivati a questo punto, vi è chiaro che le Grow Lights possono aggiungersi o, nei casi più estremi, sostituirsi alla luce naturale. L’unica regola aurea da seguire, per capire quando e per quante ore tenerle accese, è quella delle ore minime e massime di luce presenti dal 21 marzo al 21 settembre. Detto in altri termini, si va da un minimo di 12 ore, ad un massimo di 16 ore di luce al giorno. Nella stagione buona, è sempre meglio cercare di seguire il più possibile il naturale ritmo giorno/notte. Questo perché, per quanto buio possa essere un angolo, un po’ di luce arriverà sempre, ed è quindi meglio non scombussolare le vostre piante dando loro poca luce di giorno e luce forte (da grow light) durante la notte. Anche le nostre piante hanno bisogno di dormire per qualche ora!
Quindi, in primavera terrete accese le vostre grow light 12-13 ore al giorno, in estate 15-16. E dopo il 21 settembre? Beh, in autunno e in inverno, potete tararvi sulle 12 ore, come se foste all’equatore. Dopo tutto, la stra-grande maggioranza delle piante che abbiamo in casa vivono in natura nelle fasce tropicali ed equatoriale. 12 ore di luce sono più che sufficienti per far star bene le nostre piante e farle continuare a produrre tante belle foglie ad un ritmo discreto.

E la bolletta?

Potete dormire sonni tranquilli. Le Grow Lights in commercio si basano su tecnologia LED, quindi consumano davvero poco. Per capire quanto l’uso giornaliero può pesare sulla bolletta della luce possiamo fare un veloce e semplice esercizio.
Supponiamo di avere in casa grow lights per una potenza complessiva di 40W (in media la potenza che occorre per “foraggiare” di luce una zona di casa dove raggruppare ipoteticamente un po’ di piante). Il consumo al mese, ipotizzando di tenerle accese 12 ore al giorno, tutti i giorni è di:

Consumo mensile = (Watt x Ore / 1000) x 30

Quindi, nel nostro caso:

Consumo mensile = (40W x 12h / 1000) x 30=14,4 kW/h

Assumendo che abbiate un contratto di fornitura energia elettrica con prezzo variabile, considerato che il prezzo medio dell’energia da gennaio a novembre 2023 è di circa 0,15€/kW/h, le nostre ipotetiche grow lights peserebbero sulla bolletta mensile per circa: 0,15 x 14,4= 2,16€ (+tasse).

Non proprio un salasso.

Quali parametri considerare per la scelta delle giuste grow lights?

La prima caratteristica fondamentale che deve avere una grow light, lo avrete capito, è che sia “a spettro completo”. Quindi NO luci rosse, blu, viola; luce bianca va benissimo, illumina le piante di un colore gradevole e non infastidisce i nostri poveri occhi.

Il parametro principe, da verificare per capire qual è l’efficacia di una grow light, vale a dire quanto questa avrà il potere di far vivere e crescere sane le mie piante, è però uno solo: il PPFD. Acronimo di “Photosynthetic Photon Flux Density, il PPFD descrive la densità di fotoni utili alla fotosintesi che la grow light è in grado di fornire in un determinato istante su 1 metro quadro di superficie.
Molto semplicemente, più alto è questo numero, più la nostra grow light è potente.
ATTENZIONE: per confrontare grow light diverse, è importante verificare su quale distanza è espresso il PPFD: la potenza della grow light varia, naturalmente, in base alla distanza dalla pianta.
Facendo un esempio concreto, SANSI (di cui parleremo tra poco) esprime in chiaro un PPFD rapportato ad 1 “feet”, vale a dire circa 30 cm di distanza. Elho, altro marchio, esprime il suo PPFD rapportato su una distanza di 10 cm. Quindi se vogliamo confrontare i PPFD di una grow light SANSI con quelli di una grow Light ELHO, dobbiamo almeno moltiplicare per 3 il PPFD di SANSI. Man mano che riduciamo la distanza della lampada dalla pianta, infatti, il PPFD aumenta esponenzialmente (tenetelo a mente quando posizionate le vostre grow lights).

Altri fattori da considerare poi sono, sicuramente la qualità e affidabilità del marchio, il prezzo (ovviamente) e il design. Ora, ci sono lampade per tutti i gusti e di ogni prezzo, ma l’affidabilità di un marchio la potete sicuramente percepire dal fatto che l’informazione relativa al PPFD sia dichiarata in maniera trasparente. Un produttore di grow light che non fornisce in maniera chiara questo parametro non è un produttore affidabile, o comunque ha deciso di non puntare sul PPFD come elemento di forza da comunicare per il proprio prodotto.

Alcuni consigli

Quando si parla di grow light, il marchio migliore in assoluto è SANSI. Azienda cinese fondata nel 1993, è leader in questo settore. Forse sul design possono migliorare, ma in termini di qualità, funzionalità e convenienza, non hanno eguali. Riportiamo un po’ di opzioni:

  • SANSI doppia a collo di cigno 20W: questa pratica grow light con bracci flessibili e orientabili, ciascuno con un bulbo da 10W è la soluzione ottimale per chi vuole illuminare dall’alto un gruppo di piante, senza comprare pezzi extra. L’unica aspetto da considerare è a cosa fissarla tramite la grande clip. PPFD: (distanza 30 cm) 195,82 mmol/s/㎡.
  • SANSI doppia per scaffali 10W: evoluzione della precedente, è la soluzione studiata per essere ancorata sulle pareti di scaffali e librerie, preservando l’aspetto estetico. Potenza più che dimezzata per la coppia di faretti, ma d’altra parte, per come sono fatti, capita spesso di posizionarli molto vicino alle piante da “trattare”. PPFD: (distanza 30cm) 48,98 mmol/s/㎡.

Per entrambi i prodotti esistono modelli senza e con timer (questi ultimi costano un po’ di più). Se volete collegare più grow lights, il suggerimento è di prendere modelli senza timer incorporato, collegandoli tramite ciabatta ad un unico temporizzatore manuale, come ad esempio questo.

Queste sono soluzioni “chiavi in mano”, ma se non vi piacciono esteticamente e volete qualcosa di diverso, potete sempre montare i faretti SANSI su un supporto a vostro piacimento. Ad esempio, se volete usare una piantana grande che illumini un intero scaffale, potete sceglierne una qualunque (con attacco E27) di vostro gusto e montarci sopra un faretto bello potente, che funzioni bene anche se tenuto ad una certa distanza, come il SANSI LED 36W. PPFD: (distanza 30cm 265,58 mmol/s/㎡.

Esistono poi numerosi brand, ma spesso e volentieri il costo è superiore e la resa decisamente inferiore, posto un PPFD basso. Vale la pena citare un prodotto di Elho, ELHO Light Garden. Studiato per la coltivazione di erbe aromatiche o comunque piante di altezza/larghezza contenute, questo prodotto di indiscusso valore estetico risulta molto comodo anche per la bagnatura delle piante per sub-irrigazione, grazie al comodo piattino integrato. La potenza, dicevamo, è bassina: PPFD (distanza 10cm) è di 120mmol/s/㎡, ma per come è fatto il prodotto è facile sfruttarla tutta, vista la distanza minima dalle piante “trattate”.

Considerazioni Finali

Insomma, come spesso accade nel fantastico mondo delle piante da interno, anche per le grow lights, in giro è pieno di insidie e di falsi miti, a volte anche a causa di influencer o “esperti” che raccomandano prodotti apparentemente infallibili. L’auspicio è che con questo articolo abbiate ora le idee più chiare su perché usare delle grow lights e su come scegliere quelle giuste. Ora andate, e growlightizzatevi tutti/e!

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Vacanze estive e piante da interno: la guida per farle sopravvivere

Vacanze estive e piante da interno: la guida per farle sopravvivere

Scritto da Massimo Tortorici, 24 Lug 2023. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Mancano pochi giorni al mese di agosto, il mese in cui da sempre, per tradizione più o meno imposta, molte italiane ed italiani vanno in vacanza. Di solito ci si concentra sulle valigie e su tutto quello che serve per godersi al meglio la destinazione scelta per le vacanze. Per alcune/i di noi però c’è una preoccupazione in più: come mi organizzo con le piante? Eh già, quello della gestione delle piante di casa nostra, durante lunghi periodi di assenza in stagioni calde come quella estiva, può essere un problema angosciante. Dopo mesi di duro impegno per far rendere al meglio le nostre amiche verdi ecco che arriva il momento della verità, quei 10-15-20 giorni in cui loro dovranno cavarsela senza di noi. In questo articolo, cercheremo di condividere qualche suggerimento utile affinchè le vostre piante da interno possano superare al meglio la vostra “assenza per ferie (estive)”.

Regola numero 1: garantire una certa quantità di luce

In molti quando partono hanno l’abitudine di abbassare le serrande o di chiudere le persiane. La sicurezza delle nostre case prima di tutto, già, ma mettiamo in sicurezza anche le nostre piante! Se proprio dovete chiudere tutto, cercate di lasciare una o più stanze con serrande o persiane belle aperte, posizionando lì tutte le piante che avete in giro per casa. La luce è fondamentale per la salute delle piante; passi uno o due giorni senza, ma oltre si rischia che marciscano rapidamente. Il motivo è semplice: che voi le innaffiate prima di partire, o che mettiate in piedi uno dei metodi descritti più avanti, la pianta rimarrà di colpo senza luce per fare la fotosintesi; le radici non lavoreranno, il terreno rimarrà bagnato e la pianta saluterà questo mondo. Quindi, più luce possibile per favore.

Regola numero 2: mitigare la temperatura ambientale

Strettamente collegato al tema “luce” spesso c’è quello delle temperature. Se l’ambiente in cui abbiamo la maggior parte delle nostre piante, ad esempio, è esposto al sole per tutto il pomeriggio, o se per caso ci troviamo all’ultimo piano di una palazzina e il nostro appartamento tende quindi a riscaldarsi un po’ di più, bisogna prendere delle contromisure. Per prima cosa bisogna far entrare l’aria in casa da uno o più punti. Dove possibile quindi, lasciate finestre e serrande o persiane aperte, sempre mantenendo il livello di sicurezza che preferite, sia chiaro. L’ambiente beneficerà di eventuali giornate ventose e comunque della maggior freschezza notturna.

Un’altra buona idea poi può essere quella di incrementare l’umidità nell’ambiente. Ci sono due modi, principalmente, per farlo:

1) distribuire in giro per l’ambiente più sottovasi pieni di argilla espansa bagnata, un ottimo metodo fai-da-te per aumentare l’umidità ambientale, come spiegato in questo articolo

2) usare un umidificatore automatico, e cioè un apparecchio capace di umidificare l’intero ambiente, che sia soprattutto governabile da remoto, tramite smartphone

Sembra una sottigliezza, ma quei 2 gradi in meno e quel briciolo di aria che entra costantemente in casa, potrebbero risultare fondamentali per la sopravvivenza delle vostre piante.

Regola numero 3: fare un pre-trattamento anti ragnetto rosso

Quando si tratta di caldo e aria secca, il pericolo numero 1 in fatto di parassiti è lui, il ragnetto rosso. Come spiegato meglio in questo articolo, l’infestazione del ragnetto rosso è molto subdola e pericolosa: all’inizio non ce ne accorgiamo, ma poi, quando questo accade, la pianta è già compromessa e bisogna intervenire pesantemente. Meglio fare il più possibile prevenzione quindi. Anche se nebulizzate spesso dell’acqua sul fogliame delle vostre piante, metodo tanto buono quanto semplice per tenere lontano il ragnetto rosso, potete comunque passare al livello successivo, vale a dire utilizzare un anti-parassitario biologico, come l’estratto di ortica. Facendo un trattamento pre-partenza sul fogliame delle vostre piante, nel migliore dei casi avrete in qualche modo stroncato sul nascere un’eventuale infestazione di cui non vi siete ancora del tutto accorte/i; nel caso in cui non ci fosse alcuna infestazione in atto, trattandosi di un unico trattamento fatto con un prodotto biologico, non ci saranno particolari effetti collaterali.

Regola numero 4: non affidare le proprie piante a plant-sitter improvvisate/i

Siamo alla parte più importante in assoluto: le bagnature. Troppa poca acqua potrebbe provocare importanti stress idrici, seccume e, in alcuni casi, collassi irreversibili; al contrario troppe bagnature in un tempo relativamente ristretto, potrebbero rapidamente condurre a marciume. Per questo, se decidete di affidare le vostre piante ad un’amica o un amico, ad una vicina o a vostra madre, è importante che vi tariate sul loro grado di esperienza con le piante. Se le lasciate ad una persona esperta, magari anche più di voi, è bene darle poche indicazioni, per non urtare il suo orgoglio da comprovato pollice verde. Se lasciate le vostre piante ad una persona poco esperta, vale lo stesso la regola delle poche indicazioni, ma stavolta per non generare confusione o ansia. Meglio se riuscite ad arrivare al pre-partenza con tutte le piante appena bagnate e date istruzioni solo su quali piante bagnare e se farlo nell’unica visita che farà in vostra assenza o in una delle due, se sono previsti più sopralluoghi. Se avete studiato bene le esigenze delle vostre piante nel periodo estivo, potete anche provare a dosare le singole bagnature. Come? Semplicemente mettendo accanto ad ogni pianta da bagnare un barattolo, un bicchiere o una bottiglia con il quantitativo d’acqua necessario per la bagnatura. È un po’ da psicopatiche/i, ma la o il plantsitter poco esperta/o gradirà tantissimo.

E se non so a chi affidare le mie piante?

Beh, nel caso in cui non sappiate proprio a chi affidare le piante di casa vostra, non disperate, la soluzione c’è e ha un nome ben preciso: BLUMAT. Questa azienda austriaca ha brevettato un prodotto tanto semplice quanto efficace. Stiamo parlando di BLUMAT Classic, un semplice prodotto composto da un sottile tubo flessibile collegato ad un conetto di argilla. L’estremità del tubo va inserita in un recipiente pieno d’acqua, mentre il cono in argilla va inserito nel vaso della pianta. L’acqua verrà automaticamente aspirata e convogliata nel cono in argilla che la erogherà gradualmente all’interno del vaso. A seconda che posizioniate il recipiente di acqua più in alto o più in basso rispetto al vaso della pianta, il BLUMAT Classic erogherà acqua più o meno velocemente. È chiaro quindi che anche un sistema del genere va tarato in funzione delle piante sul quale viene impiegato: su una calathea cercherò di far erogare più acqua in una giornata, su un ficus elastica meno; su una monstera alta 1 metro e mezzo in vaso da 35 cm serviranno 2 BLUMAT, per un’Alocasia Amazonica in vaso da 20 ne basterà uno. Per quanto riguarda la capacità complessiva di acqua erogata durante tutto il periodo potete usare recipienti di “pescaggio” molto grandi, magari combinati con conetti più grandi, i BLUMAT Classic XL, capaci di erogare fino a 200 ml ogni 24 ore (la massima erogazione per la misura più piccola è di 150ml/24 ore).

Un’alternativa ancora più semplice agli ormai famosi conetti c’è e la propone sempre BLUMAT, vale a dire gli adattatori per bottiglie. Si tratta semplicemente dell’evoluzione ordinata e sicura del “metodo della bottiglia piena capovolta dentro il vaso”. Chi conosce e ha utilizzato questo metodo, sa bene che non sempre l’esito può essere dei migliori. Troppo poco “piantata a fondo” la bottiglia, troppo veloce sarà l’erogazione dell’acqua. Troppo ben piantata la bottiglia, più alto sarà il rischio che la terra possa creare un tappo naturale che ostruirà l’erogazione. Con gli adattatori di BLUMAT non ci sono rischi, a seconda che siano “normali” o XL sapete già quanta acqua verrà erogata. Il limite sta nel fatto che al massimo potrete montarvi sopra una bottiglia da 2 lt. Se avete bisogno di più capacità però ci sono sempre i famosi “conetti”.

Regola jolly: somministrare Algatron prima di partire

Avete mai sentito parlare dell’importanza degli integratori, multivitaminici o magnesio e potassio, nei periodi di caldo intenso? Bene, come noi, anche le piante possono beneficiare dell’aiuto degli integratori per superare al meglio i momenti di stress e/o per rinforzare la propria salute. Algatron di CIFO è il biostimolante che fa al caso nostro. Algatron, infatti, è un macerato di Alga Macrocystis, un’alga che contiene sostanze che aiutano ad aumentare la concentrazione di soluti all’interno delle cellule della pianta. Sintetizzando, utilizzando Algatron, la vostra pianta sarà più in grado di mantenere il giusto livello di idratazione al variare delle condizioni atmosferiche dei giorni successivi. Il che vuol dire che se lo utilizzate un paio di volte, durante le bagnature (si può somministrare anche insieme al concime) del periodo precedente alla vostra partenza, la pianta arriverà più forte e in grado di sopportare eventuale siccità, e in generale tutte le condizioni che potrebbero stressarla in vostra assenza. In questo articolo un quadro completo sui Biostimolanti.

Con questa chicca finale si chiude questo articolo. Se siete arrivate/i fino a qui, siete finalmente pronte/i più a passare delle belle vacanze, sentendovi più tranquille/i nel lasciare a casa, sole solette, le vostre amate piantine.

Massimo Tortorici

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Come scegliere il vaso giusto per rinvasare una pianta

Come scegliere il vaso giusto per rinvasare una pianta

Scritto da Massimo Tortorici, 21 Feb 2023. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Dimensioni, materiale, fori di drenaggio: tutti fattori da considerare nella scelta del vaso in cui rinvasare una pianta

È quasi primavera e, se state leggendo questo articolo, immagino non abbiate in cima alla vostra lista di cose da fare in casa, nè le pulizie straordinarie, nè il cambio di stagione. No. Piuttosto vorreste fare un giro al vostro vivaio o negozio di piante preferito e fare incetta di nuove piante! Una voce però, dentro di voi, simile a quella del grillo parlante, vi dice che, parlando di piante, dovreste pensare prima al dovere e poi al piacere. Il dovere, quando si parla di piante e si è, appunto, alle porte della bella stagione, è riassumibile in un unico termine: RINVASO. Che siate state/i per settimane in dubbio se rinvasare o no una o più piante, o che abbiate fatto finta di niente, cercando di ignorare quella pianta con il vaso di plastica chiaramente deformato dalle radici, il momento di verificare se fare o meno un rinvaso è arrivato. Già, ma il vaso ce l’avete? E quale vaso dovreste prendere? Quella del vaso in cui coltivare una pianta può apparire una scelta semplice e secondaria. In realtà è una scelta tanto importante quanto quella del substrato di coltivazione, anche perchè, in assenza di drammatiche emergenze, la vostra pianta starà lì dentro per almeno i successivi 12 mesi. Sulla scelta del substrato c’è già un interessantissimo articolo da poter consultare; in quest’altro, quindi, snoccioleremo tutte le considerazioni che vanno fatte in modo da poter scegliere il giusto vaso per il giusto rinvaso.

Quando si rinvasa

Si è accennato alla primavera come momento per considerare il rinvaso. Questa è la stagione in cui si effettua questa operazione, in situazioni stabili e di calma per la vostra pianta. In situazioni di emergenza o necessità però,  non c’è tempo da perdere; leggete pure questo articolo per saperne di più.
In questa sede ci limiteremo a considerare la ragione “classica” alla base di un rinvaso, vale a dire la necessità di maggiore spazio per la pianta e le sue radici.  A differenza di quanto avviene in natura, infatti, le radici delle piante che teniamo in vaso, crescono in un ambiente ristretto. Ciò è piuttosto evidente se ad esempio, vediamo fuoriuscire le radici oltre i fori di drenaggio del vaso. Nei casi più gravi, se il vaso è in plastica, le radici possono arrivare a deformare il vaso (non auguro alle vostre piante di arrivare fino a questo punto). Non ravvisate nessuna di queste due situazioni, ma volete essere sicure/i la vostra pianta non abbia bisogno di un rinvaso? Bene, una volta l’anno provate ad estrarla dal vaso, a terreno semi-asciutto e date un’occhiata alle radici: se disegnano più cerchi tutto attorno al panetto di terra, allora la pianta va rinvasata.

Che succede se non intervenite? I possibili problemi sono due:

  • Marciume radicale: può originarsi nei casi in chi le radici che escono dai fori di drenaggio del vaso, stando anche spesso a contatto prolungato con ristagni d’acqua nel sottovaso.
  • Blocco della crescita: le radici non trovano più spazio per svilupparsi, la pianta gestisce i tessuti già esistenti, senza avere l’energia per lo sviluppo di nuovi.

Per fortuna, ci sono piante con radici più o meno veloci nella crescita, più o meno grandi, il che vuol dire che non dovrete stare a rinvasare tutto ogni primavera. Ci sono piante che si rinvasano anche ogni 3 anni. L’importante è farlo quando va fatto, e farlo scegliendo, appunto, il vaso giusto.

Le dimensioni del nuovo vaso

Il primo elemento da valutare, quando si effettua il rinvaso di una pianta per motivi di spazio, è la dimensione del nuovo vaso. La parola chiave da avere in mente è “gradualità”. Per tutte le piante, vale cioè la regola di scegliere, ad ogni rinvaso, un contenitore leggermente più grande del precedente. Roba di 2-3 cm di diametro in più. Questo vale anche per l’altezza. O meglio, l’importante è non prendere un vaso più basso del precedente. Se rinvasate perché le radici escono dai fori di drenaggio, beh, forse conviene prendere un modello di vaso che sia più alto, oltre che più largo. Insomma, ci siamo capiti: vaso più grande, ma di poco. Il motivo è semplice: se rinvasate la vostra pianta in un vaso più grande di quanto sia necessario, ci sarà più terriccio attorno alle sue radici, perché dovrete riempirlo, questo vaso. Il substrato si asciuga più facilmente in prossimità delle radici, che assorbono l’acqua e l’umidità. Dove non ci sono radici nelle vicinanze invece, resta umido, per giorni e giorni. Risultato: troppa umidità per la vostra pianta e marciume radicale e/o malattie fungine dietro l’angolo!

La forma del vaso

La forma è un elemento spesso più estetico che altro. A parità di volume, non ci sono grosse differenze in grado di incidere sulla qualità del rinvaso. La forma del vaso è però un elemento da valutare con molta attenzione nel caso di piante acquistate in vasi la cui forma magari non è la migliore possibile. Faccio un esempio: avete comprato un Pothos di piccole dimensioni, venduto in un vaso di forma cilindrica standard. Volete posizionarlo su una libreria, ma volete anche che il vaso non spicchi troppo in altezza, per rendere più gradevole il tutto. Ecco che, in questo caso, un vaso di forma “scodellare” va benissimo. L’importante, anche in questo caso, è che la forma più allargata rispetto al precedente vaso cilindrico non faccia sí che si crei troppo “substrato  vuoto”, non coperto da radici. È sempre questa la regola numero uno da tenere a mente. Se necessario quindi, portate un po’ più al limite l’estensione delle radici della vostra pianta, prima di procedere con il rinvaso.

Fori di drenaggio, sì o no?

Rispondo subito, perchè in questo caso non ci sono dubbi: fori di drenaggio SÌ! I fori di drenaggio sono fondamentali per la salute di qualsiasi pianta, da interno ed esterno, succulenta o no. La presenza di uno o più fori sul fondo del vaso garantisce maggior arieggiamento del substrato, maggior equilibrio nella temperatura all’interno dello stesso, ma soprattutto, ovviamente, drenaggio dell’acqua in eccesso. Certo, i fori di drenaggio non assicurano che il terreno abbia la giusta umidità; su questo dovete essere brave/i voi a scegliere o comporre il giusto substrato con i giusti elementi. Ma quando innaffiate troppo, l’acqua che il substrato di coltivazione non è in grado di trattenere scivolerà via. Volete usare un vaso senza fori di drenaggio? Auguri. Il ristagno idrico all’interno del vaso è causa di marciume radicale, e un vaso senza fori di drenaggio può portare più facilmente la vostra pianta in questa situazione. Dovrete stare sempre super attente/i a come, quando e quanto innaffiate e in inverno sarà molto difficile non commettere errori. Se volete a tutti i costi esporre la vostra pianta in un bellissimo vaso in ceramica, nessuno problema, usatelo come copri-vaso. Quando fate un rinvaso, scegliete cioè un vaso in ceramica in grado di contenere il nuovo vaso (con fori di drenaggio) in cui rinvaserete la vostra pianta. Non vi piacciono le matrioske? Benissimo, sbizzarritevi a decorare il vostro vaso in plastica o terracotta. Non ci sono regole, in questo caso.

Vaso in plastica vs. terracotta

Prima di mettere definitivamente da parte il vaso in ceramica, come valido contenitore da coltivazione, va fatta una precisazione: il problema non è il materiale, ma la presenza dei fori di drenaggio o no. In genere i vasi in ceramica non ne sono provvisti. In alcuni casi però, sono predisposti per averne uno. Che vi aiutiate con un cacciavite o con un trapano a punta sottile, potete crearlo voi, il foro di drenaggio. Ma fatevi un giro di tutorial su YouTube, se non volete ridurre in mille pezzi il vostro bel vaso di ceramica.
Fatto questo breve excursus, andiamo al nocciolo del paragrafo: la plastica non traspira per nulla, la terracotta traspira tantissimo. Dopo l’irrigazione, quindi, il vaso in terracotta “asciuga” l’acqua in eccesso non solo tramite i fori di drenaggio, ma anche tramite le pareti del vaso, che infatti diventano umide. Il substrato quindi si asciuga molto più velocemente di quanto non avvenga in un vaso di plastica, e questo è un vero e proprio toccasana per le piante grasse. Ovviamente, questa traspirazione porterà il vaso a “sporcarsi” nel tempo, a causa del calcare. La pulizia non può essere un problema. Per il resto, si sa, i vasi in terracotta sono più delicati, più pesanti, più costosi, etc. E se cascano da una superficie alta, tipo una libreria, possono fare bei danni. Caratteristiche molto simili a quelle dei vasi in terracotta le hanno i vasi in ceramica, anche se questi traspirano meno rispetto ai primi. Il mio schema preferito? Succulente nei vasi in terracotta (o ceramica con fori di drenaggio), tutto il resto in vasi di plastica.

Vaso trasparente o “colorato”

Ebbene sì, i più/le più fissati/e come me possono avere anche questo genere di dubbi, quando bisogna scegliere un vaso nuovo. Se volete un vaso “colorato”, la scelta generalmente sarà tra il color terracotta, il verde scuro o il grigio, fermo restando che potrete anche fregarvene se poi utilizzerete un bel coprivaso. Per i feticisti delle radici però ci sono anche i vasi trasparenti, esclusivamente in plastica. Apparentemente, l’utilità di questi vasi può sembrare solo quella di poter ammirare le radici e valutarne lo stato di salute. In realtà c’è un ulteriore vantaggio: poter capire meglio il livello di umidità del substrato. OK, non sarà fondamentale, ma posso assicurarvi che in inverno, quando è difficile capire e si sta tirando troppo la corda non innaffiando quella Alocasia o quel Filodendro, poter guardare come stanno messi substrato e radici è molto utile. E poi, se la pianta ha bisogno di un rinvaso perchè ormai le radici sono ovunque, beh, ve ne accorgerete subito.

Vasi auto-irriganti

Non sono un grande amante di soluzioni di questo tipo; altrimenti non avrei mai cominciato a scrivere articoli in cui provo ad aiutare aspiranti pollici verdi, condividendo la mia esperienza. I vasi auto-irriganti promettono di rendere facilissima l’irrigazione, tramite sistemi che distribuiscono l’acqua gradualmente, facendo inoltre capire quando non c’è per niente bisogno di innaffiare o quando è il momento di farlo. Bello vero? Beh, io preferisco gestirmela da solo la questione “irrigazione”. Ma se per qualche particolare motivo non potete stare dietro alle vostre piante con frequenza e costanza (tipo nei casi in cui fate spesso trasferte di lavoro lunghe), beh, forse un vaso auto-irrigante è quello che ci vuole, almeno per le piante più problematiche. Lechuza produce un ottimo modello, con tanto di substrato Lechuza incluso. Potete partire da questo, per farvi un’idea.

Considerazioni Finali

Insomma, vista la lunghezza di questo articolo, e dal momento che si parlava di “vasi”, una cosa è certa: non esistono argomenti banali o secondari, quando si parla di tecniche di coltivazione di piante in casa. Anche la scelta del vaso giusto per un rinvaso, è rilevante; non scegliere quello giusto può portare a situazioni di grande rischio per la salute della vostra pianta. Scegliete bene, quindi.

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Perchè la mia Alocasia perde le foglie?

Perchè la mia Alocasia perde le foglie?

Scritto da Massimo Tortorici, 18 Gen 2023. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Le principali cause di decadimento delle foglie di un’Alocasia e le relative soluzioni.

Le Alocasie sono tra le piante d’appartamento più in voga negli ultimi anni. Amazonica, Melo, Frydek, Macrorrhiza, Pink Dragon, Zebrina…se questo articolo ha attirato la vostra attenzione, sicuramente avete una o più tra queste splendide varietà di Alocasia. Le avete acquistate perchè le sue (o le loro) foglie vi hanno fatto impazzire, così grandi, con venature marcate, vellutate (a seconda della specie). Già, ma che succede quando le foglie delle vostre Alocasia cominciano a cadere? Essendo questa una situazione che si verifica soprattutto nei mesi freddi, si tratta di un processo fisiologico, o c’è qualcosa che non va? Potete fare qualcosa per migliorare le condizioni delle vostre Alocasia? In questo articolo si cercherà di rispondere a questi interrogativi, approfondendo tutte le cause che possono portare le vostre Alocasia a perdere le foglie, suggerendo rimedi possibilmente utili ad evitare di ritrovarci con una pianta con una foglia sola.

Condizioni ideali per far crescere un’Alocasia in casa (e limitare la perdita di foglie)

Le Alocasia sono piante dal portamento eretto. Hanno origine da un rizoma, dal quale parte anche l’apparato  radicale. Le foglie sono piuttosto grandi, se paragonate al fusto. Per mantenere ciascuno foglia, un singolo rizoma di Alocasia ha bisogno di parecchia energia e soprattutto ha bisogno che tutte le condizioni ambientali siano a livelli ottimi e in equilibrio tra loro. Quali sono queste condizioni? Per rispondere a questa domanda, basta pensare a come e dove vive in natura: foreste pluviali, in particolare nel sotto-bosco, affondando le radici in substrati molto areati e umidi, ad una temperatura che oscilla tra i 20 e i 30 gradi. Quindi, che le condizioni ideali per la crescita (in salute) di un’Alocasia sarebbero:

  • Almeno 12 ore di luce forte indiretta ogni giorno
  • Temperature medie intorno ai 24-25 gradi
  • Substrato costantemente umido, ma al tempo stesso ben drenato e arieggiato
  • Umidità circostante compresa tra il 60 e l’80%
  • Foglie costantemente pulite (in natura ricevono pioggia quasi ogni giorno, auto-pulendosi e drenando l’acqua in eccesso tramite gli apici fogliari

È chiaro che riuscire a mantenere per tutto il tempo delle condizioni ideali è qualcosa di molto difficile. Se lo squilibrio tra queste voci è minimo,  l’impatto a livello fogliare sarà minimo. Maggiore (e più prolungato nel tempo) sarà lo squilibrio, maggiore sarà la probabilità che le vostre Alocasia comincino a manifestare il proprio disagio tramite caduta di più foglie.

Quando la caduta delle foglie non deve preoccupare

Fatta questa bella premessa, capite bene che in inverno, o comunque nei nostri mesi freddi, noti come “periodo di riposo”, qualche foglia le vostre Alocasia la perderanno, è fisiologico. L’importante è che si tratti di episodi sporadici e molto distanziati tra loro. In generale, un fusto di Alocasia che perde fino al 50% del proprio “patrimonio fogliare” ci può stare durante un autunno-inverno passato in vaso dentro un appartamento. Più lentamente vi avvicinerete a questa soglia, più potrete fare sonni tranquilli. Se però già ad inizio novembre le vostre Alocasia hanno raggiungo questa soglia, perdendo una foglia ogni 10-15 giorni, beh, forse è il caso di preoccuparsi un po’, ricercare l’origine del problema, e intervenire.

Troppa acqua

La causa numero uno, la più comune in assoluto responsabile della perdita di foglie per un’Alocasia,  è  l’eccesso di irrigazioni. O meglio, un substrato che rimane troppo umido, direi bagnato, per troppi giorni. Le cose sono due: o avete annaffiato troppo e troppo spesso, o la vostra Alocasia è coltivata in un substrato inadatto, poco arieggiato e che trattiene troppa acqua; oppure sono vere entrambe le condizioni. Quella che è certa è la conseguenza: foglie arricciate, o con fusti abbassati, che ingialliscono rapidamente e, a quel punto, facilmente asportabili. Sicuramente c’è anche del marciume radicale; bisogna vedere se questo marciume ha innescato anche delle malattie fungine. Per affrontare la situazione dovete cercare di ripristinare il più velocemente le condizioni ideali per la vostra Alocasia, in termini di umidità del terreno. Fate pure riferimento a questo articolo per tutti i dettagli. Se poi volete comprendere meglio perchè un’aracea come l’Alocasia ha bisogno di un substrato di un certo tipo e quali elementi utilizzare per comporlo, date un’occhiata a quest’altro articolo.

Poca acqua

Magari siete già molto attente/i a non innaffiare troppo, ma non esagerate, e non dimenticate di mantenere un minimo umido il substrato delle vostre Alocasia. Potrebbe innescarsi il problema opposto a quello descritto in precedenza, ovvero secchezza. La conseguenza è sempre la stessa, radici danneggiate e foglie che cadono. Ovviamente in questo caso è molto facile individuare il problema, ed è altrettanto facile risolverlo. Innaffiate subito, procedendo per sub-irrigazione (facendole prendere l’acqua dal sottovaso) nel caso in cui il substrato sia particolarmente duro e secco. Nei casi più problematici, con un po’ di pazienza, dopo la nascita di nuove sane radici, la perdita di foglie si fermerà.

Temperatura

Anche le temperature sono importanti per la salute delle Alocasia. In inverno i pericoli principali sono le correnti d’aria fredda e i termosifoni. Nel primo caso, se vi piace arieggiare casa sempre e comunque, ok, è un’ottima idea; tenete conto però che le correnti d’aria fredda possono dare un bello shock, non solo alle Alocasia in  realtà, ma a tutte le altre piante tropicali che avete eventualmente in casa. Da evitare anche la vicinanza alla porta di ingresso, l’apertura/chiusura della porta ogni giorno non può che essere un pericolo per l’equilibrio termico. Nel caso facciate uso di termosifoni, beh, penso sia abbastanza condivisibile l’idea di non posizionare le vostre Alocasia (e non solo) a due passi da queste fonti di calore “infernali”. Se poi riuscite, usate proprio meno i termosifoni, l’umidità media degli ambienti sarà più congeniale alle vostre Alocasia; in alternativa, mettete in campo uno o più metodi utili ad incrementare l’umidità circostante.

Luce inadeguata

La luce, lo sappiamo, è un elemento importante per qualsiasi pianta, Alocasia inclusa. É però  anche noto che molte piante resistono ugualmente in condizioni di luminosità medio-bassa o comunque non ideale. Comunque, se la posizione che avete scelto per le vostre Alocasia risulta buona in primavera/estate, può non esserlo altrettanto nei mesi freddi. Capita spesso con esposizioni ad ovest o a nord. Come detto, in questi casi non è a rischio, a prescindere, la salute delle vostre Alocasia. Di sicuro però entreranno prima nel periodo di riposo vegetativo, e ne usciranno più tardi. E questo vuol dire un periodo più lungo nel quale cercare di tutelare il loro patrimonio fogliare. E significa anche che, nel caso di eccesso di irrigazione, marciume radicale e malattie fungine saranno molto più probabili. Il motivo è semplice: il fatto di non ricevere tutta la luce necessaria fa sì che le vostre Alocasia non producano (tramite fotosintesi) energia a sufficienza per poter essere in piena forma, risultano quindi più deboli.

Attacco parassitario

Ovviamente in un articolo del genere non possono mancare loro, i parassiti. Tripidi, Ragnetto Rosso e Acari sono quelli che più comunemente possono attaccare le vostre Alocasie. In tutti i casi, le condizioni ideali per la loro proliferazione sono il caldo e la scarsa umidità, nel terreno e sulle foglie della pianta in generale. L’estate è quindi la stagione in cui stare più attenti/e a questo genere di calamità, ma ovviamente il problema può esordire già in primavera o, se già verificatosi, prolungarsi fino all’autunno. Attenzione però, se in inverno la temperatura di casa vostra è sempre costantemente sopra i 22-23 gradi, potreste comunque dover tenere alta l’attenzione anche in questa stagione. La buona notizia è che, rispetto alle altre cause di caduta foglie, quando il problema è di natura parassitaria, la cosa è visibile a occhio più o meno nudo (per ragnetto e acari, leggete questo articolo di approfondimento). In questi casi intervenite con un prodotto specifico.

Over-fertilizzazione

Ed ecco l’ultima causa diretta di caduta foglie per un’Alocasia, quella da over-fertilizzazione. Dare troppo concime alle vostre Alocasia (ma il discorso vale per tutte le piante in generale) può danneggiarne le radici, rendendole di fatti inutilizzabili per la pianta. Va da sé che, se la vostra Alocasia avrà radici incapaci di assorbire il nutrimento, le foglie cominceranno ad ingiallire e a cadere, una dopo l’altra, a partire dalla più vecchia. Nei casi peggiori, il metodo più semplice per farle riformare è quello di estrarre l’Alocasia dal substrato di coltivazione e metterla in acqua a fare nuove radici. Per fortuna però, ci sono sempre le istruzioni sulle modalità di impiego, su qualsiasi concime voi acquistiate. Attenetevi a quelle e difficilmente si verificherà un problema del genere.

Considerazioni Finali

Insomma, prendendosi cura di un’Alocasia non ci si annoia mai. All’inizio può sembrare la tipica pianta da “montagne russe”: grandi soddisfazioni quando si vede nascere e crescere una nuova foglia, altrettanto grandi delusioni quando la si vede perderne qualcuna. Come avrete capito, però, il segreto è, come sempre accade per le piante da interno, cercare di pensare sempre al contesto di origine della pianta; dovete sempre cercare di replicare, per quanto possibile, le condizioni originarie. Vedrete che, una volta trovato il giusto equilibrio, e con l’esperienza guadagnata a suon di errori e foglie perse, mantenere belle rigogliose le vostre Alocasia sarà un gioco da ragazzi!

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Come curare le piante d’appartamento in inverno

Come curare le piante d’appartamento in inverno

Di Massimo Tortorici | Pubblicato in Caffè Tropicale il 10 – Aggiornato il 13 Nov

“Sulle foglie della mia Monstera sono comparse delle macchie scure sui margini, e si stanno allargando”; “L’altro giorno sono inciampata/o  su una foglia della mia Sansevieria che era letteralmente collassata”; “La mia Alocasia ha perso due foglie in 10 giorni, sono disperata/o”; “Quella piantina grassa che mi avevano regalato è diventata improvvisamente scura e non so cosa le è successo”. Lo avete mai sentito dire ad un’amica o a vostra madre, oppure vi ci siete trovate/i voi stesse/i? Sono situazioni che tutti noi plantlovers sperimentiamo, e possono verificarsi in qualsiasi momento, più spesso in inverno. Perchè in inverno? Perchè dopo aver curato brillantemente le nostre piante in casa, nei mesi primaverili ed estivi, in cui loro hanno in genere parecchia luce, temperature alte e bevono tanta acqua, siamo molto rilassati/e o comunque convinti/e di  aver trovato la quadra giusta. Il problema è che in inverno le condizioni ambientali, anche in casa, sono completamente diverse rispetto all’estate; e a volte ce ne rendiamo conto troppo tardi, perchè da settembre a gennaio il mutamento è graduale ma costante. Ed ecco che il lavoro e le soddisfazioni di mesi e mesi di stagione vegetativa, possono di colpo andare a farsi benedire nel giro di poche settimane. In questo articolo proveremo a capire come evitare di vivere le terribili situazioni sopra descritte. Cercheremo cioè di chiarire quali sono le accortezze e le strategie da attuare per curare al meglio le nostre piante da appartamento nei noiosi e difficili mesi invernali.

Irrigazione

Il primissimo aspetto da considerare, quello che può impattare in maniera più netta e fatale sulla salute delle vostre piante è l’irrigazione, o meglio, quanto spesso e in che quantità innaffiate le vostre piante; per essere ancora più specifici, quanto inzuppate il substrato e per quanto tempo questo rimane zuppo o comunque umido. Se avete già letto questo articolo sui substrati, saprete che avere le proprie piante coltivate nel giusto substrato è già un bel passo avanti. Ma non basta. Bisogna anche considerare quanto tempo ci mette il substrato ad asciugarsi e di che tipo di condizioni necessitano le vostre singole piante. Il substrato semi-sabbioso e poroso in cui coltivate le vostre succulente, se in estate ci metteva 10 giorni ad asciugarsi del tutto, in inverno ce ne potrebbe impiegare 20 di giorni, per l’asciugatura. Il mix in cui avete messo dentro le vostre aracee, che in estate bagnavate ogni settimana, per mantenerlo umido al punto giusto e non farlo asciugare del tutto, ora rimarrà umido per 2 o anche 3 settimane. Non esiste un intervallo temporale scientificamente corretto, ovviamente, questi sono solo esempi. Dovrete essere voi a capire, verificandone periodicamente lo stato, ogni quanto i vostri terricci necessitano di acqua. Controllate la noia e tenete a freno il desiderio di dare amore alle vostre piante, dovete essere pazienti, altrimenti sbaglia oggi, sbaglia domani, nel giro di un mese potrete aver indotto alle vostre piante del marciume radicale, con svariati problemi annessi.  Per quanto riguarda la quantità di acqua da somministrare, anche qui dovrete andarci più piano. Riducete un pò la quantità (questo non vuol dire utilizzare il contagocce, neanche per le succulente). Se innaffiate dall’alto, valutate un cambio di metodo: la subirrigazione ad esempio. Potete cioè bagnare servendovi di un sottovaso. Quando ritenete che una pianta ha bisogno di acqua, provate a metterla su un sottovaso della giusta misura, riempiendolo d’acqua. Se la pianta ha effettivamente bisogno, l’acqua finirà in 20-30 minuti al massimo, o comunque il livello sarà sceso drasticamente. Se questo non avviene, beh, avete evitato di innaffiare quando non serviva. Una specifica in più per le piante succulente (Sansevierie incluse): esse sono in grado di immagazzinare parecchia acqua, ma soprattutto, in inverno, con meno luce e crescita ferma, sono a riposo e non hanno quindi esigenza di apporto nutritivo, come invece durante la stagione vegetativa. Innaffiate una volta al mese, non di più (fatte le dovute eccezioni, vedi Schlumbergera che tutti vogliamo vedere piena di fiori).

Concimazione

Parlando di acqua e nutrimento in generale, vale la pena affrontare subito il tema “Concimazione”. Da qualche parte ho letto che le piante non vanno concimate in inverno. Io, e anche altre/i per fortuna, la pensiamo diversamente. Anche in inverno le piante vanno concimate. Certo, bisogna farlo molto meno spesso rispetto alla stagione vegetativa, al massimo una volta al mese. Le vostre piante saranno pressoché ferme e quindi non avranno esigenza di energia specifica per crescere, ma solo di quella per alimentare le funzioni basiche. Concimate quindi meno frequentemente, seguendo sempre le indicazioni in etichetta. Volendo, potete spostarvi su concimi più equilibrati, visto il periodo di “riposo”. Ad esempio: se per le vostre aracee avete usato, fino ad ottobre, un concime come CIFO per Piante Verdi con formula NPK 14-5-8, e quindi ad alto tenore di azoto, per i mesi freddi potreste optare per un COMPO Concime per Piante Verdi, con formula NPK 7-3-6, quindi meno azoto e concentrazione più alta di tanti altri micro-elementi. Che scegliate l’uno o l’altro, entrambi i produttori contemplano la concimazione invernale, con dosaggi, appunto, ridotti, Quindi concimate, concimate anche in inverno e vedrete che, con l’arrivo della primavera le vostre piante saranno più forti e reattive che mai.

Luce naturale

In inverno ci sono meno ore di luce, e su questo siamo tutti d’accordo. Non solo però: la luce è anche meno intensa. In generale, quindi la luminosità che potete avere nel vostro soggiorno in estate è, possiamo dire, dimezzata in inverno. La quantità di luce che una pianta assorbe in un determinato punto non sarà minimamente la stessa tra estate e inverno. Quello che bisogna capire è se ci sono piante che, al variare delle condizioni di luminosità, stanno comunque bene dove stanno, o se hanno bisogno di essere spostate anche solo per sopravvivere. Facendo un paio di esempi pratici:

  • una pianta grassa che nei pomeriggi estivi prendeva un paio d’ore di sole diretto, su una credenza del vostro soggiorno distante 3 metri dalla finestra, in inverno potrebbe beneficiare di uno spostamento su un mobiletto posto a mezzo metro dalla finestra.
  • una Calathea posizionata in una zona riparata dai raggi diretti in estate, in inverno potrebbe avere troppo buio e quindi gradire una posizione più luminosa.

Un’altra specifica è doverosa farla: la luce diretta dei raggi solari in estate non ha nulla a che vedere con quella invernale. Il sole è molto più distante dalla Terra. La stessa luce diretta del primo pomeriggio che in estate brucia le foglie delle vostre alocasie, in inverno può solo che fargli bene. Con tutto ciò, non sto dicendo che dovete cominciare a spostare tutte le piante che avete nelle stanze di casa vostra, anzi. Le piante in casa sono belle anche perchè arredano con stile e gusto a voi più congeniali quel determinato angolo di casa. Valutate caso per caso, e date più luminosità solo alle piante che davvero ne hanno bisogno.

Il supporto delle Grow Lights

Un ulteriore aspetto da considerare in tema “luce” in generale:  l’utilizzo di Grow Lights. Andrebbero sicuramente usate nei seguenti due casi:

  • volete mettere delle piante in una posizione in cui non ricevono la giusta luminosità, a prescindere dalle stagioni
  • alcune vostre piante sono state falcidiate da parassiti o da marciume radicale fino a novembre, e, risolto il problema principale, volete provare a farle riprendere il prima possibile, senza aspettare la primavera.

A parte questi casi limite, le grow lights sono un’ottima opzione se proprio non volete saperne di assistere al “letargo” delle vostre piante. Scegliete delle soluzioni congeniali al vostro arredamento e soprattutto con il giusto PPFD. Se volete approfondire l’argomento, leggete questo articolo.

Temperatura

E siamo alla temperatura. Altro aspetto che subisce variazioni significative, e che incide sulla salute e l’aspetto delle nostre piante tenute in casa. Diciamo subito che in casa, in inverno, non ci saranno mai temperature in grado di uccidere le nostre piante. Di base, mi auguro anche per voi, la temperatura minima in casa sarà sempre di 18 gradi, quindi perfetta per qualsiasi specie. Bisogna però capire a che massime si arriva e come ci si arriva. Nello specifico, infatti, i riscaldamenti di ogni tipo seccano l’aria, chi più chi meno. Avere in casa una temperatura fissa di 24 gradi con umidità 40% potrebbe pure andar bene per diverse succulente; risulta però in parte dannoso per aracee, palme, marantacee, etc., e cioè piante che prediligono un livello di umidità del 60-80%. Le punte delle foglie si seccano, la crescita si arresta prima. E in generale, “respirano” male. Già, le piante respirano, proprio come noi: non parlo della fotosintesi, ma della respirazione cellulare, il processo inverso, tramite il quale le piante espellono l’ossigeno in eccesso sotto forma di anidride carbonica. Senza entrare ora nel dettaglio, tenete conto quindi che l’aria secca fa respirare male noi e loro. In ogni caso, se volete usare mediamente molto i vostri riscaldamenti, posizionate delle vaschette piene d’acqua sui vostri caloriferi per incrementare l’umidità dell’aria. Se però volete una soluzione ad hoc per tenere alta l’umidità intorno alle vostre piante, usate il vecchio trucco dell’argilla espansa nei sottovasi, come descritto in questo articolo, oppure acquistate un bell’ umidificatore.

Ricambio d’aria

Acqua, luce, temperatura, cosa manca? L’aria! Anche lei è importante, in inverno come in estate. Le piante che teniamo dentro casa, in natura non crescono in ambienti chiusi. L’aria favorisce gli scambi gassosi e rinvigorisce la pianta “allenando” la resistenza di tronchi, rami e radici. Ora, in casa non potremo certo far irrobustire le radici delle nostre piante  a suon di correnti d’aria, figuriamoci. Sicuramente però, possiamo assicurargli il ricambio sufficiente per aumentare l’ossigenazione dell’aria, visto che noi, respirando, ne consumiamo parecchio di ossigeno. E in questo modo, contribuiremo anche ad incrementare l’umidità dell’aria di casa nostra, soprattutto se usiamo parecchio i riscaldamenti. A proposito di correnti d’aria: state attente/i, in inverno una folata di aria fredda può dare parecchio fastidio a Ficus, Filodendri e compagnia bella. Lo so che sembra scontato, ma è meglio specificarlo.

Pulire le foglie

Eh sì, anche questo va fatto! Non tanto per questioni estetiche o maniacali, ma perchè in questo modo aiutiamo le nostre piante a funzionare meglio. Fare in modo che le foglie assorbano più luce possibile e facciano correttamente la fotosintesi è ancora più importante in una stagione come quella invernale, in cui la luce è poca e meno intensa. Pulire le foglie con un panno umido (solo acqua, mi raccomando) sarà un’attività noiosa ma se non altro l’impatto positivo sulla salute delle nostre piante c’è, eccome!

Parassiti

Parassiti anche in inverno? Tranquille/i, se farete tesoro di quanto letto finora, credo non avrete problemi, da questo punto di vista. Dalla cocciniglia al ragnetto rosso, infatti, più o meno tutti i parassiti gradiscono temperature sopra i 22 gradi e bassa umidità. Sono queste le condizioni in cui possono proliferare e, purtroppo, in primavera/estate bisogna stare davvero in allerta. Se però tenete i termosifoni a palla, beh, non potrete rilassarvi neanche in inverno. Media di 18-20 gradi, umidità discreta al 60%, substrati a lungo umidi ed eccovi servita la barriera naturale anti-parassiti. Poi, certo, se a novembre pensate di aver definitivamente debellato dalle piante attaccate i vari ragnetto rosso, acari, o tripidi, l’inverno in realtà potrebbe essere solo una lunga parentesi di calma apparente. Questi parassiti, infatti, depositano uova ad un ritmo infernale e le ultime depositate, spesso resistono l’inverno per poi schiudersi ai primi caldi. Quindi, voi buttate sempre un occhio alle piante colpite in precedenza da questi maledetti, anche in inverno. Quando arriva la primavera, beh, in bocca al lupo.

Varie ed eventuali

Tutto quello di cui si è parlato in questo articolo, in generale, vale per la sopravvivenza dentro casa di tutte le piante. Si parla di piante che sono sempre state dentro casa, non di piante che in estate tenete fuori e che pensate di riportare dentro per l’inverno. Per questo argomento va fatto un discorso a parte, in altra sede. Qui si è parlato di sopravvivenza, di condizioni utili al mantenimento dei processi base, che per molte piante sono gli unici ad essere in atto, in inverno. Altre piante, però “lavorano” di più in inverno, dovendo far fronte a processi dispendiosi come la fioritura o la produzione di nuove foglie: due esempi comuni su tutti: la Schlumbergera o Cactus di Natale, e la Albuca Spiralis. La giusta quantità di luce, le temperature, l’umidità del terreno, la concimazione, sono ancora più importanti per queste piante, in inverno. Non sottovalutateli.

Massimo Tortorici

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Quali piante regalare (e regalarsi) per Natale

Quali piante regalare (e regalarsi) per Natale

Di Massimo Tortorici | Pubblicato in Caffè Tropicale l’8 Dic  – Aggiornato il 26 Nov

Nel periodo prenatalizio si sa, le occasioni per fare regali non mancano mai. Regali per i parenti, regali per suocere, fidanzate e fidanzati, nonni, e poi i regali extra, come quelli che siamo quasi costretti/e a fare quando veniamo coinvolti/e in simpatiche iniziative come i “Secret Santa”, sempre più diffuse tra colleghi e amici. In un tale caos, sempre più ingestibile, c’è bisogno di qualche elemento di sicurezza, un passe-partout, qualcosa che rappresenti sempre la scelta giusta. Ebbene, quale miglior regalo di una pianta? Già una pianta, qualcosa che possa sempre farvi fare bella figura, che vi permetta di essere originali e di cavarvela con gusto e con una certa eco-sostenibililità. In questo articolo vedremo quali piante possono fare al caso vostro e per quale ragione sceglierle come regalo natalizio. Sia chiaro, non pensate di riuscire a regalarne qualcuna senza regalarne almeno una anche a voi, se vi piacciono giusto un po’ le piante, sarà impossibile resistere, sono pronto a scommetterci.

Aglaonema Red Star

Partiamo subito con una pianta inaspettata, l’Aglaonema Red Star. L’Aglaonema fa parte della più ampia famiglia delle aracee, la principale per quel che riguarda le piante tropicali da interno. A differenza di una bella fetta delle sue parenti aracee, l’Aglaonema è molto più rustico, si adatta molto più facilmente a condizioni di ridotta luminosità e bassa umidità del terreno. Ora, questo non significa che potete lasciarlo morire di sete in un angolo buio di casa; piuttosto, vuol dire che la sua manutenzione è più semplice di quanto si pensi, elemento questo che lo rende perfetto come regalo. In più, rimane di dimensioni piuttosto contenute, e ciò lo rende facilmente posizionabile in qualsiasi ambiente interno. Di varietà ce ne sono tante, ma solo una è perfetta per il periodo natalizio: Aglaonema Red Star. Il motivo è semplice: le sue foglie variegate di rosso, vivo o aranciato. Le varietà più vicine al Red Star sono l’Aglaonema Pink Star e l’Aglaonema Orange Star. Se regalate un Red Star, sapete che ne avete altri due tra cui scegliere per fare un regalo a voi stesse/i.

Anthurium Andreanum

Proseguiamo con un’altra Aracea: Anthurium Andreanum. Ormai entrato nell’immaginario di tutti, grazie alla sua ampia diffusione in ogni vivaio, grande magazzino, supermercato, chiosco che venda piante, l’Anthurium Andreanum è di sicuro la pianta che più di tutte ha sfondato negli ultimi anni come pianta-regalo. Con i suoi fiori rossi, incredibilmente lucidi e nettamente in contrasto con il suo spadice giallo-bianco, se regalate un Anthurium Andreanum difficilmente sbaglierete. O meglio, vista la larghissima diffusione, potreste sbagliare se la persona a cui lo regalate ne possiede già uno in casa. Il consiglio è quindi di comprare sempre una pianta di back-up se decidete di puntare sull’Anthurium come regalo natalizio. La manutenzione è leggermente più complessa rispetto all’Aglaonema, giusto perché gli Anthurium preferiscono un substrato con un livello di umidità medio più alto (in questo articolo tutte le informazioni per la cura degli Anthurium). I fiori li fa da aprile ad ottobre, ed è presumibile che a gennaio perda quelli che aveva quando l’avete regalato. È bene saperlo.

Aglaonema Red Star
Anthurium Andreanum

Ardisia Crenata

Ora si cambia completamente genere. Parliamo di piante che possono, anzi preferiscono essere sistemate in balcone o giardino, più facili da mantenere, che sono molto apprezzate nel periodo natalizio per una specifica caratteristica: al Natale ci arrivano piene zeppe di bacche rosse! Cominciamo dall’Ardisia Crenata.
Questo arbusto fiorisce ad inizio estate, con bei fiorellini rosa o bianchi. I fiori vengono poi rimpiazzati da bacche inizialmente verdi, che diventano rosso acceso col passare delle settimane. Se coltivato nelle giuste condizioni, le bacche resistono fino alla fioritura successiva! Difficile da mantenere dentro casa, più che altro perchè sopra i 16° non sta benissimo, l’Ardisia Crenata è perfetta accanto alla porta di casa, con luce a sufficienza, e sole mai diretto, soprattutto d’estate. Vi immaginate un ingresso di casa con due arbustelli di 1 metro ciascuno, pieni zeppi di bacche rosse? Semplicemente Natale!

Skimmia

Altra pianta che vive molto meglio fuori che dentro casa è la Skimmia. E anche in questo caso il motivo per cui regalarla a Natale è la presenza di abbondanti bacche rosse decorative. La particolarità è che non tutte le piante di Skimmia producono le bacche rosse, o almeno, non tutte quelle di Skimmia Japonica che è la varietà più diffusa. La differenza la fa il sesso: la Skimmia Japonica maschio produce solo i fiori, quella femmina anche le bacche rosse, ma solo se c’è un maschio che impollina i fiori. Tradotto: se volete regalare una Skimmia Japonica, sicuramente la troverete con le bacche rosse, ma solo perché impollinata. La stessa pianta, l’estate successiva, non produrrà bacche se non cresce accanto ad una pianta maschio. Una soluzione c’è: andare in Cina. No, non vi sto dicendo di importare piante da Pechino, semplicemente di provare a cercare una varietà cinese, la Skimmia Reevesiana, che rispetto alla cugina giapponese, è ermafrodita, e come tale fa tutto da sola, fioritura e produzione bacche! Bene, dopo questo trattato botanico, veniamo alla manutenzione: molto resistente al freddo, molto meno alla siccità, la Skimmia va posizionata in una zona ombrosa, ed è quindi perfetta per una esposizione a nord. Più indicata per le amiche e gli amici che vivono in zone relativamente fredde.

Ardisia Crenata
Skimmia

Agrifoglio

Ed ecco un classicone! L’agrifoglio, da non confondere con il Pungitopo, è una pianta molto diffusa alle nostre latitudini ed è super originale per due aspetti: ha foglie con spigoli acuminati e produce irresistibili bacche rosse in autunno inoltrato, e cioè giusto in tempo per le feste natalizie. Pianta antichissima (già ai tempi dei romani si festeggiava il solstizio d’inverno con decorazioni beneauguranti di agrifoglio), ha lo stesso “problema” della Skimmia: solo la pianta femmina produce le bacche rosse (se impollinata). Per il resto, possiamo dire che l’Agrifoglio vince il “premio resistenza” delle piante natalizie trattate in questo articolo: resiste benissimo a temperature al di sotto dello zero. Soffre un pò la siccità e il sole caldo dell’estate, ma di base può essere tenuto fuori tutto l’anno. Le bacche sono tossiche, ma si spera che cani e gatti vengano tenuti alla larga dalle foglie pungenti.

Pyracantha

Meno diffusa rispetto a tutte le altre piante trattate in questo articolo, la Pyracantha o Agazzino merita comunque una menzione. Se non altro per una caratteristica che non faticherete ad indovinare: produce abbondanti bacche rosse! Come l’Agrifoglio, anche la Pyracantha risulta molto utile come pianta da siepe e si adatta al freddo del nostro inverno. Anche le bacche della Pyracantha sono tossiche.

Agrifoglio
Pyracantha

Schlumberghera

Ora si cambia di nuovo genere, in maniera del tutto inaspettata: parliamo di cactacee. Può, una cactacea, essere d’ispirazione come regalo di Natale? Ma certo, se questa cactacea viene anche chiamata “Cactus di Natale”! Vero nome Schlumbergera, questa pianta si è guadagnata il nickname Cactus di Natale per una particolarità: fiorisce nel periodo prenatalizio e natalizio. E non stiamo parlando di uno-due fiori che durano un paio di giorni come avviene per svariate piante grasse, no. Nel caso della Schlumbergera, la fioritura è abbondante e duratura, potrete avere una pianta fiorita per settimane intere. Certo, bisogna fare in modo che arrivi in salute al mese di novembre, se si vuole sperare in una vistosa fioritura, e le accortezze da impiegare in tal senso sono diverse: in questo articolo di approfondimento trovate tutto, più o meno. In ogni caso, i colori dei fiori di Schlumbergera sono diversi: come per l’Aglaonema, se decidete di regalare un Cactus di Natale, compratene di due colori diversi, una da regalare e una per voi.

Stella di Natale

Chiudiamo con un grande classico, la Pianta di Natale per eccellenza: la Stella di Natale, botanicamente nota come “Poinsettia”. Lo so, non sarete originali come nel caso delle piante trattate precedentemente, ma con la Stella di Natale andate sempre sul sicuro. Volete fare una “pazzia”? Compratene una che abbia delle variegature, ce ne sono tante in giro, magari con il rosso sempre preponderante. Non fate che mi comprate la Stella di Natale gialla, eh! Se proprio volete poi essere i “numeri uno dei donatori e donatrici di Stelle di Natale”, allora date alla fortunata o fortunato che la riceverà tutte le indicazioni necessarie per farla sopravvivere anche dopo le Feste, e per provare a farla tornare rossa per il Natale successivo. In questo articolo trovate tutti i dettagli.

Schlumbergera
Stella di Natale

Considerazioni Finali

Eccoci arrivati alla fine di questa carrellata di piante natalizie. Queste sono, in qualche modo, piante che devono la sua fortuna commerciale al fatto di esprimere il loro massimo splendore durante la stagione natalizia. Ricordate però che le piante si possono regalare tutto l’anno, non solo a Natale. Anzi, se quando andate a cena da amici o a pranzo dai parenti, invece di portare vino e paste mignon, vi presentate con una bella pianta, lo spirito del Natale vi accompagnerà tutto l’anno.

Massimo Tortorici

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I migliori umidificatori per piante tropicali da interno

I migliori umidificatori per piante tropicali da interno

Scritto da Massimo Tortorici, 8 Nov 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Per alcune piante, il livello ottimale di umidità, quello che le fa stare davvero bene è del 60% o poco più. Farle stare in un ambiente con aria molto secca, diciamo con il 30%-40% di umidità al massimo, non da’ di certo un boost alla loro crescita, anzi. Ecco perché è fondamentale avere uno o più umidificatori in casa.

Umidificatori e piante, un binomio irrinunciabile per qualunque plantlover con una discreta collezione di piante tropicali in casa. Direte “addirittura irrinunciabile?” Avrete letto, probabilmente, questo articolo, in cui metto in fila i vari metodi impiegabili per aumentare l’umidità delle nostre piante. È vero, avere un umidificatore è solo uno dei metodi. Però è il più evoluto, il più comodo e anche il più versatile. Già, perché avere uno o più umidificatori in casa può essere utile non solo per le nostre piante, ma anche per noi. In questo articolo, vedremo brevemente quali sono i possibili usi di un umidificatore, quando e perché può fare la differenza per le nostre piante in casa, e quali sono i migliori in circolazione sul mercato.

Un elettrodomestico multitasking

Li avrete visti in giro sui social, in azione dentro serre fai-da-te o semplicemente posizionati su uno scaffale o su un mobile pieno zeppo di piante. Eppure, gli umidificatori sono apparecchi che possono essere utilizzati anche per il benessere delle persone. Di più: le aziende produttrici spingono molto più questo aspetto, e cioè i benefici per le persone, che non quelli per le piante. Che tipo di benefici? Respiratori, in primo luogo. L’aria troppo secca, tipica delle case riscaldate in autunno e inverno, rende più difficoltosa la respirazione e facilita l’insorgere di fastidi stagionali, come ad esempio, mal di gola, raffreddori, influenze. Il perché è molto semplice, se l’aria che respiriamo è troppo secca, le mucose e, più giù, i bronchi, che hanno bisogno di umidità, si asciugano e quindi diventano meno efficienti. Teoricamente, poi, l’aria troppo secca non fa bene né alla nostra pelle, né a quella dei nostri animali domestici. La disidratazione causa secchezza della pelle, quindi, soldi che se ne vanno in creme e prodotti cosmetici, in alcuni casi farmaci, atti a contrastare il problema. Oltre ad aspetti di salute fisica, un umidificatore in casa può aiutare anche la salute psicologica. Sembra che vedere la nebbiolina uscir fuori da questi apparecchi, ovviamente se silenziosi, è di per sé molto rilassante (provare per credere). Se poi aggiungete degli oli essenziali (in genere c’è uno scomparto ad hoc nell’umidificatore), beh, oltre ad avere aria umidificata e salutare, avrete anche un piacevole profumo per casa che rilasserà i vostri sensi.

L’importanza di un umidificatore per le nostre piante in casa

L’aria troppo secca, lo avrete capito, non fa bene a noi, e non fa bene a nessun essere vivente in generale (virus a parte). Nel caso specifico di piante, soprattutto se di origine tropicale, aria troppo secca vuol dire margini e punte delle foglie che si seccano. Anche il ritmo di crescita delle piante è influenzato dall’umidità dell’aria. Per alcune piante, il livello ottimale di umidità, quello che le fa stare davvero bene è del 60% o poco più. Farle stare in un ambiente con aria molto secca, diciamo con il 30%-40% di umidità al massimo, non da’ di certo un boost alla loro crescita, anzi. Ecco perché è fondamentale avere uno o più umidificatori in casa, per loro e per noi.

Dove posizionare l’umidificatore

Prima di parlare dei modelli migliori di umidificatore presenti sul mercato, vale la pena fare un semplice ragionamento sul “come” utilizzare l’apparecchio in funzione piante. Se pensate che con un umidificatore riprodurrete l’ambiente umido tropicale tipico dei luoghi di origine delle vostre piante, beh, siete fuori strada. O meglio, fare una cosa del genere con un umidificatore è possibile, ma solo se lo posizionate dentro una serra fai-da-te allestita in casa o in veranda. Se invece vi piace godervi le vostre piante come veri e propri pezzi di arredamento su scaffali, mensole, mobiletti, insomma non in una serra, ecco, l’umidificatore può aiutare a migliorare l’umidità dell’aria che respirano (sì, anche le piante respirano), ma non la porterà mai alla percentuale ottimale. Un umidificatore in genere è in grado di umidificare l’aria di una grande stanza, come un soggiorno, ad esempio e già questo è qualcosa. È chiaro che le piante, più si trovano nelle vicinanze dell’umidificatore, più ne beneficiano. Per una resa massima, posizionate un umidificatore in una posizione più alta o al livello delle foglie più alte delle vostre piante, in modo che la nebbiolina (che in genere spara verso l’alto), si sparga per bene. Se avete una zona dove tenete più piante tropicali (aracee, marantacee), beh, neanche a dirlo, cercate di mettere lì il vostro umidificatore.

Levoit, il marchio leader nel mercato degli umidificatori

Cominciando a parlare (finalmente, direte voi) di umidificatori acquistabili, bisogna dedicare un paragrafo all’azienda leader di mercato. L’americana Vesync, è l’azienda proprietaria del marchio Levoit, in assoluto il brand più in ascesa negli ultimi anni per quel che riguarda gli umidificatori. Badate bene, si parla di “umidificatori” e non di “purificatori” d’aria. Una bella differenza, sia in termini di prezzo (molto più alto, in media, quello dei purificatori d’aria), sia in termini di funzionalità. Essendo io e chi legge questo articolo, amanti di piante, direi che possiamo concentrarci solo sugli umidificatori, a purificare l’aria ci pensano le piante!
Come dicevo, Levoit è un marchio molto forte sul mercato, probabilmente il migliore in Italia, anche solo dando un’occhiata alla linea di prodotti. Super affidabili, molto silenziosi (sono tutti sotto i 28 dB) e contraddistinti anche da un bel design, Vesync propone i seguenti umidificatori:

LEVOIT Dual 150: è l’entry level. Adatto agli ambienti piccoli (copre adeguatamente una stanza di 20 metri quadri), ha comandi molto semplici e manuali, un serbatoio da 3 litri che può durare (in continua) 25 ore prima di esaurirsi. L’acqua può essere agevolmente caricata dall’alto e la si può “condire” con oli essenziali idrosolubili, qualora si voglia un po’ di relax da aromaterapia. Escludendo il bagno (tipicamente umido) e la cucina, questo umidificatore è ideale per la camera da letto. Si spegne in automatico una volta esaurita l’acqua nel serbatoio.

LEVOIT Dual 200S: stesse caratteristiche di base del precedente (dimensione, capacità e durata serbatoio, superficie umidificabile), ma con un’importante aggiunta: può essere comandato da remoto. Come? Da smartphone tramite l’app Vesync, vocalmente tramite Alexa e Google Assistant. Questo è, a mio avviso, la cosa più importante per noi amanti di piante. Immaginate di sapere più o meno il momento della giornata in cui l’aria in casa è più secca, o magari di andare fuori per il week-end. Grazie all’app, potete impostare il programma all’orario, durata, frequenza che preferite e farlo partire in autonomia. Certo, dovete ricordarvi di lasciare acceso il wifi.

LEVOIT Classic 300S: qui si sale di livello. Serbatoio di capienza doppia rispetto ai primi due (6 litri), autonomia (in continua) di 60 ore prima di esaurire l’acqua. Ufficialmente è in grado di umidificare un ambiente di 47 metri quadri. Più realisticamente si può affermare che un salone doppio (con ingresso adiacente), è l’ambiente giusto in cui collocarlo. Come il Dual 200S è attivabile da remoto, tramite app e Alexa/Google Assistant, e ha un bel display che mostra il livello di umidità raggiunto. Come per il Dual 200S, anche con il Classic 300S è possibile impostare un livello di umidità da mantenere: l’umidificatore si spegnerà e accenderà all’occorrenza.

LEVOIT LV600S: il top di gamma. Rispetto al precedente (del quale ha tutte le caratteristiche), è in grado di umidificare ambienti più grandi, grazie alla doppia bocchetta orientabile. È possibile impostare il timer, e cioè accendere e dire all’umidificatore dopo quanto tempo spegnersi in automatico. È anche possibile scegliere tra nebbia fredda (quella che hanno anche tutti gli altri umidificatori Levoit) e nebbia calda. Non cambia molto a livello di percezione, non aspettatevi di sentire particolare calore. Sembra però che la nebbia calda umidifichi più velocemente l’ambiente. Non si è più parlato di aromaterapia: tenete conto che questo modello e il precedente, rispetto ai primi due, hanno un comodo cassettino laterale dove versare le gocce di olio essenziale, su un apposito filtro.

Qualche altro suggerimento

Bene, fatta la panoramica di umidificatori Levoit, possiamo concentrarci sul resto del mercato. Limitandomi agli umidificatori abbastanza semplici da reperire online, quelli che seguono sono abbastanza interessanti:

INNOBETA Fountain 3,0L: questo è l’umidificatore più versatile proposto dal marchio di Hong Kong. Capace di umidificare ambienti relativamente grandi (fino a 40 metri quadri è quanto viene dichiarato), ha un bel design, dimensioni contenuti (dopo tutto il serbatoio è di 3 litri, non di 6), timer, spegnimento automatico in caso di livello acqua basso e vaschetta per l’aromaterapia. Rispetto all’analogo LEVOIT (il Dual 200S), però, costa leggermente di più, è un po’ meno silenzioso, e non è attivabile da remoto.

PRO BREEZE Umidificatore 5,6 lt: quest’azienda inglese prova a fare la sua parte con questo umidificatore a nebbia fredda e calda adatto ad ambienti grandi (un po’ pretenziosa la dichiarazione ufficiale di coprire 70 metri quadri, ma rende l’idea). Il grande serbatoio garantisce grande autonomia, ma anche questo, come tutti meno i Levoit, non è governabile da remoto. Per il resto ha tutto ciò che serve: timer, vaschetta per aromaterapia, caricamento facilitato, e un design pulito e moderno.

HOMEDICS Total Comfort Deluxe: azienda americana del Michigan, è forse una delle poche che, almeno nel mercato italiano, può battagliare con Vesync, in termini di qualità e tecnologia offerti. L’umidificatore che vi propongo qui è un po’ ingombrante nella sua forma a siluro, ma perfetto per soggiorni e salotti (ufficialmente può coprire uno spazio di 40 metri quadri), in particolare per essere posizionato per terra, magari vicino a piante di una certa dimensione. Non è controllabile da remoto, ma ha un paio di caratteristiche che lo rendono interessante: cartuccia di demineralizzazione, per poterlo utilizzare senza problemi anche con acqua molto calcarea; tecnologia “clean tank” che dovrebbe assicurare una minore manutenzione.
Il costo è il più alto tra quelli degli altri umidificatori trattati in questo articolo, ma vale la pena farci un pensierino.

Considerazioni finali

Lo avrete intuito, di umidificatori in giro ce n’è per tutti i gusti. Il mercato, in Italia e negli altri paesi europei, è in forte crescita, e non è escluso che nei prossimi mesi venga fuori un produttore in grado di concorrere con le aziende americane, Vesync e Homedics su tutte. Ciò che è certo è che, essendo l’offerta già abbastanza ampia, e gli ambienti e possibilità di utilizzo molto variegati, potete soddisfare la vostra curiosità a tranches. Partite da un umidificatore piccolo magari, da posizionare in un punto dove sono concentrate diverse delle vostre amiche tropicali. Se, dopo qualche settimana, o qualche mese, avrete notato benefici, potrete sempre acquistare un secondo umidificatore, magari più grande, e cominciare a godere anche voi di un’aria meno secca e più umida.

Massimo Tortorici

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