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Quali piante regalare (e regalarsi) per Natale

Quali piante regalare (e regalarsi) per Natale

Di Massimo Tortorici | Pubblicato in Caffè Tropicale l’8 Dic  – Aggiornato il 26 Nov

Nel periodo prenatalizio si sa, le occasioni per fare regali non mancano mai. Regali per i parenti, regali per suocere, fidanzate e fidanzati, nonni, e poi i regali extra, come quelli che siamo quasi costretti/e a fare quando veniamo coinvolti/e in simpatiche iniziative come i “Secret Santa”, sempre più diffuse tra colleghi e amici. In un tale caos, sempre più ingestibile, c’è bisogno di qualche elemento di sicurezza, un passe-partout, qualcosa che rappresenti sempre la scelta giusta. Ebbene, quale miglior regalo di una pianta? Già una pianta, qualcosa che possa sempre farvi fare bella figura, che vi permetta di essere originali e di cavarvela con gusto e con una certa eco-sostenibililità. In questo articolo vedremo quali piante possono fare al caso vostro e per quale ragione sceglierle come regalo natalizio. Sia chiaro, non pensate di riuscire a regalarne qualcuna senza regalarne almeno una anche a voi, se vi piacciono giusto un po’ le piante, sarà impossibile resistere, sono pronto a scommetterci.

Aglaonema Red Star

Partiamo subito con una pianta inaspettata, l’Aglaonema Red Star. L’Aglaonema fa parte della più ampia famiglia delle aracee, la principale per quel che riguarda le piante tropicali da interno. A differenza di una bella fetta delle sue parenti aracee, l’Aglaonema è molto più rustico, si adatta molto più facilmente a condizioni di ridotta luminosità e bassa umidità del terreno. Ora, questo non significa che potete lasciarlo morire di sete in un angolo buio di casa; piuttosto, vuol dire che la sua manutenzione è più semplice di quanto si pensi, elemento questo che lo rende perfetto come regalo. In più, rimane di dimensioni piuttosto contenute, e ciò lo rende facilmente posizionabile in qualsiasi ambiente interno. Di varietà ce ne sono tante, ma solo una è perfetta per il periodo natalizio: Aglaonema Red Star. Il motivo è semplice: le sue foglie variegate di rosso, vivo o aranciato. Le varietà più vicine al Red Star sono l’Aglaonema Pink Star e l’Aglaonema Orange Star. Se regalate un Red Star, sapete che ne avete altri due tra cui scegliere per fare un regalo a voi stesse/i.

Anthurium Andreanum

Proseguiamo con un’altra Aracea: Anthurium Andreanum. Ormai entrato nell’immaginario di tutti, grazie alla sua ampia diffusione in ogni vivaio, grande magazzino, supermercato, chiosco che venda piante, l’Anthurium Andreanum è di sicuro la pianta che più di tutte ha sfondato negli ultimi anni come pianta-regalo. Con i suoi fiori rossi, incredibilmente lucidi e nettamente in contrasto con il suo spadice giallo-bianco, se regalate un Anthurium Andreanum difficilmente sbaglierete. O meglio, vista la larghissima diffusione, potreste sbagliare se la persona a cui lo regalate ne possiede già uno in casa. Il consiglio è quindi di comprare sempre una pianta di back-up se decidete di puntare sull’Anthurium come regalo natalizio. La manutenzione è leggermente più complessa rispetto all’Aglaonema, giusto perché gli Anthurium preferiscono un substrato con un livello di umidità medio più alto (in questo articolo tutte le informazioni per la cura degli Anthurium). I fiori li fa da aprile ad ottobre, ed è presumibile che a gennaio perda quelli che aveva quando l’avete regalato. È bene saperlo.

Aglaonema Red Star
Anthurium Andreanum

Ardisia Crenata

Ora si cambia completamente genere. Parliamo di piante che possono, anzi preferiscono essere sistemate in balcone o giardino, più facili da mantenere, che sono molto apprezzate nel periodo natalizio per una specifica caratteristica: al Natale ci arrivano piene zeppe di bacche rosse! Cominciamo dall’Ardisia Crenata.
Questo arbusto fiorisce ad inizio estate, con bei fiorellini rosa o bianchi. I fiori vengono poi rimpiazzati da bacche inizialmente verdi, che diventano rosso acceso col passare delle settimane. Se coltivato nelle giuste condizioni, le bacche resistono fino alla fioritura successiva! Difficile da mantenere dentro casa, più che altro perchè sopra i 16° non sta benissimo, l’Ardisia Crenata è perfetta accanto alla porta di casa, con luce a sufficienza, e sole mai diretto, soprattutto d’estate. Vi immaginate un ingresso di casa con due arbustelli di 1 metro ciascuno, pieni zeppi di bacche rosse? Semplicemente Natale!

Skimmia

Altra pianta che vive molto meglio fuori che dentro casa è la Skimmia. E anche in questo caso il motivo per cui regalarla a Natale è la presenza di abbondanti bacche rosse decorative. La particolarità è che non tutte le piante di Skimmia producono le bacche rosse, o almeno, non tutte quelle di Skimmia Japonica che è la varietà più diffusa. La differenza la fa il sesso: la Skimmia Japonica maschio produce solo i fiori, quella femmina anche le bacche rosse, ma solo se c’è un maschio che impollina i fiori. Tradotto: se volete regalare una Skimmia Japonica, sicuramente la troverete con le bacche rosse, ma solo perché impollinata. La stessa pianta, l’estate successiva, non produrrà bacche se non cresce accanto ad una pianta maschio. Una soluzione c’è: andare in Cina. No, non vi sto dicendo di importare piante da Pechino, semplicemente di provare a cercare una varietà cinese, la Skimmia Reevesiana, che rispetto alla cugina giapponese, è ermafrodita, e come tale fa tutto da sola, fioritura e produzione bacche! Bene, dopo questo trattato botanico, veniamo alla manutenzione: molto resistente al freddo, molto meno alla siccità, la Skimmia va posizionata in una zona ombrosa, ed è quindi perfetta per una esposizione a nord. Più indicata per le amiche e gli amici che vivono in zone relativamente fredde.

Ardisia Crenata
Skimmia

Agrifoglio

Ed ecco un classicone! L’agrifoglio, da non confondere con il Pungitopo, è una pianta molto diffusa alle nostre latitudini ed è super originale per due aspetti: ha foglie con spigoli acuminati e produce irresistibili bacche rosse in autunno inoltrato, e cioè giusto in tempo per le feste natalizie. Pianta antichissima (già ai tempi dei romani si festeggiava il solstizio d’inverno con decorazioni beneauguranti di agrifoglio), ha lo stesso “problema” della Skimmia: solo la pianta femmina produce le bacche rosse (se impollinata). Per il resto, possiamo dire che l’Agrifoglio vince il “premio resistenza” delle piante natalizie trattate in questo articolo: resiste benissimo a temperature al di sotto dello zero. Soffre un pò la siccità e il sole caldo dell’estate, ma di base può essere tenuto fuori tutto l’anno. Le bacche sono tossiche, ma si spera che cani e gatti vengano tenuti alla larga dalle foglie pungenti.

Pyracantha

Meno diffusa rispetto a tutte le altre piante trattate in questo articolo, la Pyracantha o Agazzino merita comunque una menzione. Se non altro per una caratteristica che non faticherete ad indovinare: produce abbondanti bacche rosse! Come l’Agrifoglio, anche la Pyracantha risulta molto utile come pianta da siepe e si adatta al freddo del nostro inverno. Anche le bacche della Pyracantha sono tossiche.

Agrifoglio
Pyracantha

Schlumberghera

Ora si cambia di nuovo genere, in maniera del tutto inaspettata: parliamo di cactacee. Può, una cactacea, essere d’ispirazione come regalo di Natale? Ma certo, se questa cactacea viene anche chiamata “Cactus di Natale”! Vero nome Schlumbergera, questa pianta si è guadagnata il nickname Cactus di Natale per una particolarità: fiorisce nel periodo prenatalizio e natalizio. E non stiamo parlando di uno-due fiori che durano un paio di giorni come avviene per svariate piante grasse, no. Nel caso della Schlumbergera, la fioritura è abbondante e duratura, potrete avere una pianta fiorita per settimane intere. Certo, bisogna fare in modo che arrivi in salute al mese di novembre, se si vuole sperare in una vistosa fioritura, e le accortezze da impiegare in tal senso sono diverse: in questo articolo di approfondimento trovate tutto, più o meno. In ogni caso, i colori dei fiori di Schlumbergera sono diversi: come per l’Aglaonema, se decidete di regalare un Cactus di Natale, compratene di due colori diversi, una da regalare e una per voi.

Stella di Natale

Chiudiamo con un grande classico, la Pianta di Natale per eccellenza: la Stella di Natale, botanicamente nota come “Poinsettia”. Lo so, non sarete originali come nel caso delle piante trattate precedentemente, ma con la Stella di Natale andate sempre sul sicuro. Volete fare una “pazzia”? Compratene una che abbia delle variegature, ce ne sono tante in giro, magari con il rosso sempre preponderante. Non fate che mi comprate la Stella di Natale gialla, eh! Se proprio volete poi essere i “numeri uno dei donatori e donatrici di Stelle di Natale”, allora date alla fortunata o fortunato che la riceverà tutte le indicazioni necessarie per farla sopravvivere anche dopo le Feste, e per provare a farla tornare rossa per il Natale successivo. In questo articolo trovate tutti i dettagli.

Schlumbergera
Stella di Natale

Considerazioni Finali

Eccoci arrivati alla fine di questa carrellata di piante natalizie. Queste sono, in qualche modo, piante che devono la sua fortuna commerciale al fatto di esprimere il loro massimo splendore durante la stagione natalizia. Ricordate però che le piante si possono regalare tutto l’anno, non solo a Natale. Anzi, se quando andate a cena da amici o a pranzo dai parenti, invece di portare vino e paste mignon, vi presentate con una bella pianta, lo spirito del Natale vi accompagnerà tutto l’anno.

Massimo Tortorici

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I migliori umidificatori per piante tropicali da interno

I migliori umidificatori per piante tropicali da interno

Scritto da Massimo Tortorici, 8 Nov 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Per alcune piante, il livello ottimale di umidità, quello che le fa stare davvero bene è del 60% o poco più. Farle stare in un ambiente con aria molto secca, diciamo con il 30%-40% di umidità al massimo, non da’ di certo un boost alla loro crescita, anzi. Ecco perché è fondamentale avere uno o più umidificatori in casa.

Umidificatori e piante, un binomio irrinunciabile per qualunque plantlover con una discreta collezione di piante tropicali in casa. Direte “addirittura irrinunciabile?” Avrete letto, probabilmente, questo articolo, in cui metto in fila i vari metodi impiegabili per aumentare l’umidità delle nostre piante. È vero, avere un umidificatore è solo uno dei metodi. Però è il più evoluto, il più comodo e anche il più versatile. Già, perché avere uno o più umidificatori in casa può essere utile non solo per le nostre piante, ma anche per noi. In questo articolo, vedremo brevemente quali sono i possibili usi di un umidificatore, quando e perché può fare la differenza per le nostre piante in casa, e quali sono i migliori in circolazione sul mercato.

Un elettrodomestico multitasking

Li avrete visti in giro sui social, in azione dentro serre fai-da-te o semplicemente posizionati su uno scaffale o su un mobile pieno zeppo di piante. Eppure, gli umidificatori sono apparecchi che possono essere utilizzati anche per il benessere delle persone. Di più: le aziende produttrici spingono molto più questo aspetto, e cioè i benefici per le persone, che non quelli per le piante. Che tipo di benefici? Respiratori, in primo luogo. L’aria troppo secca, tipica delle case riscaldate in autunno e inverno, rende più difficoltosa la respirazione e facilita l’insorgere di fastidi stagionali, come ad esempio, mal di gola, raffreddori, influenze. Il perché è molto semplice, se l’aria che respiriamo è troppo secca, le mucose e, più giù, i bronchi, che hanno bisogno di umidità, si asciugano e quindi diventano meno efficienti. Teoricamente, poi, l’aria troppo secca non fa bene né alla nostra pelle, né a quella dei nostri animali domestici. La disidratazione causa secchezza della pelle, quindi, soldi che se ne vanno in creme e prodotti cosmetici, in alcuni casi farmaci, atti a contrastare il problema. Oltre ad aspetti di salute fisica, un umidificatore in casa può aiutare anche la salute psicologica. Sembra che vedere la nebbiolina uscir fuori da questi apparecchi, ovviamente se silenziosi, è di per sé molto rilassante (provare per credere). Se poi aggiungete degli oli essenziali (in genere c’è uno scomparto ad hoc nell’umidificatore), beh, oltre ad avere aria umidificata e salutare, avrete anche un piacevole profumo per casa che rilasserà i vostri sensi.

L’importanza di un umidificatore per le nostre piante in casa

L’aria troppo secca, lo avrete capito, non fa bene a noi, e non fa bene a nessun essere vivente in generale (virus a parte). Nel caso specifico di piante, soprattutto se di origine tropicale, aria troppo secca vuol dire margini e punte delle foglie che si seccano. Anche il ritmo di crescita delle piante è influenzato dall’umidità dell’aria. Per alcune piante, il livello ottimale di umidità, quello che le fa stare davvero bene è del 60% o poco più. Farle stare in un ambiente con aria molto secca, diciamo con il 30%-40% di umidità al massimo, non da’ di certo un boost alla loro crescita, anzi. Ecco perché è fondamentale avere uno o più umidificatori in casa, per loro e per noi.

Dove posizionare l’umidificatore

Prima di parlare dei modelli migliori di umidificatore presenti sul mercato, vale la pena fare un semplice ragionamento sul “come” utilizzare l’apparecchio in funzione piante. Se pensate che con un umidificatore riprodurrete l’ambiente umido tropicale tipico dei luoghi di origine delle vostre piante, beh, siete fuori strada. O meglio, fare una cosa del genere con un umidificatore è possibile, ma solo se lo posizionate dentro una serra fai-da-te allestita in casa o in veranda. Se invece vi piace godervi le vostre piante come veri e propri pezzi di arredamento su scaffali, mensole, mobiletti, insomma non in una serra, ecco, l’umidificatore può aiutare a migliorare l’umidità dell’aria che respirano (sì, anche le piante respirano), ma non la porterà mai alla percentuale ottimale. Un umidificatore in genere è in grado di umidificare l’aria di una grande stanza, come un soggiorno, ad esempio e già questo è qualcosa. È chiaro che le piante, più si trovano nelle vicinanze dell’umidificatore, più ne beneficiano. Per una resa massima, posizionate un umidificatore in una posizione più alta o al livello delle foglie più alte delle vostre piante, in modo che la nebbiolina (che in genere spara verso l’alto), si sparga per bene. Se avete una zona dove tenete più piante tropicali (aracee, marantacee), beh, neanche a dirlo, cercate di mettere lì il vostro umidificatore.

Levoit, il marchio leader nel mercato degli umidificatori

Cominciando a parlare (finalmente, direte voi) di umidificatori acquistabili, bisogna dedicare un paragrafo all’azienda leader di mercato. L’americana Vesync, è l’azienda proprietaria del marchio Levoit, in assoluto il brand più in ascesa negli ultimi anni per quel che riguarda gli umidificatori. Badate bene, si parla di “umidificatori” e non di “purificatori” d’aria. Una bella differenza, sia in termini di prezzo (molto più alto, in media, quello dei purificatori d’aria), sia in termini di funzionalità. Essendo io e chi legge questo articolo, amanti di piante, direi che possiamo concentrarci solo sugli umidificatori, a purificare l’aria ci pensano le piante!
Come dicevo, Levoit è un marchio molto forte sul mercato, probabilmente il migliore in Italia, anche solo dando un’occhiata alla linea di prodotti. Super affidabili, molto silenziosi (sono tutti sotto i 28 dB) e contraddistinti anche da un bel design, Vesync propone i seguenti umidificatori:

LEVOIT Dual 150: è l’entry level. Adatto agli ambienti piccoli (copre adeguatamente una stanza di 20 metri quadri), ha comandi molto semplici e manuali, un serbatoio da 3 litri che può durare (in continua) 25 ore prima di esaurirsi. L’acqua può essere agevolmente caricata dall’alto e la si può “condire” con oli essenziali idrosolubili, qualora si voglia un po’ di relax da aromaterapia. Escludendo il bagno (tipicamente umido) e la cucina, questo umidificatore è ideale per la camera da letto. Si spegne in automatico una volta esaurita l’acqua nel serbatoio.

LEVOIT Dual 200S: stesse caratteristiche di base del precedente (dimensione, capacità e durata serbatoio, superficie umidificabile), ma con un’importante aggiunta: può essere comandato da remoto. Come? Da smartphone tramite l’app Vesync, vocalmente tramite Alexa e Google Assistant. Questo è, a mio avviso, la cosa più importante per noi amanti di piante. Immaginate di sapere più o meno il momento della giornata in cui l’aria in casa è più secca, o magari di andare fuori per il week-end. Grazie all’app, potete impostare il programma all’orario, durata, frequenza che preferite e farlo partire in autonomia. Certo, dovete ricordarvi di lasciare acceso il wifi.

LEVOIT Classic 300S: qui si sale di livello. Serbatoio di capienza doppia rispetto ai primi due (6 litri), autonomia (in continua) di 60 ore prima di esaurire l’acqua. Ufficialmente è in grado di umidificare un ambiente di 47 metri quadri. Più realisticamente si può affermare che un salone doppio (con ingresso adiacente), è l’ambiente giusto in cui collocarlo. Come il Dual 200S è attivabile da remoto, tramite app e Alexa/Google Assistant, e ha un bel display che mostra il livello di umidità raggiunto. Come per il Dual 200S, anche con il Classic 300S è possibile impostare un livello di umidità da mantenere: l’umidificatore si spegnerà e accenderà all’occorrenza.

LEVOIT LV600S: il top di gamma. Rispetto al precedente (del quale ha tutte le caratteristiche), è in grado di umidificare ambienti più grandi, grazie alla doppia bocchetta orientabile. È possibile impostare il timer, e cioè accendere e dire all’umidificatore dopo quanto tempo spegnersi in automatico. È anche possibile scegliere tra nebbia fredda (quella che hanno anche tutti gli altri umidificatori Levoit) e nebbia calda. Non cambia molto a livello di percezione, non aspettatevi di sentire particolare calore. Sembra però che la nebbia calda umidifichi più velocemente l’ambiente. Non si è più parlato di aromaterapia: tenete conto che questo modello e il precedente, rispetto ai primi due, hanno un comodo cassettino laterale dove versare le gocce di olio essenziale, su un apposito filtro.

Qualche altro suggerimento

Bene, fatta la panoramica di umidificatori Levoit, possiamo concentrarci sul resto del mercato. Limitandomi agli umidificatori abbastanza semplici da reperire online, quelli che seguono sono abbastanza interessanti:

INNOBETA Fountain 3,0L: questo è l’umidificatore più versatile proposto dal marchio di Hong Kong. Capace di umidificare ambienti relativamente grandi (fino a 40 metri quadri è quanto viene dichiarato), ha un bel design, dimensioni contenuti (dopo tutto il serbatoio è di 3 litri, non di 6), timer, spegnimento automatico in caso di livello acqua basso e vaschetta per l’aromaterapia. Rispetto all’analogo LEVOIT (il Dual 200S), però, costa leggermente di più, è un po’ meno silenzioso, e non è attivabile da remoto.

PRO BREEZE Umidificatore 5,6 lt: quest’azienda inglese prova a fare la sua parte con questo umidificatore a nebbia fredda e calda adatto ad ambienti grandi (un po’ pretenziosa la dichiarazione ufficiale di coprire 70 metri quadri, ma rende l’idea). Il grande serbatoio garantisce grande autonomia, ma anche questo, come tutti meno i Levoit, non è governabile da remoto. Per il resto ha tutto ciò che serve: timer, vaschetta per aromaterapia, caricamento facilitato, e un design pulito e moderno.

HOMEDICS Total Comfort Deluxe: azienda americana del Michigan, è forse una delle poche che, almeno nel mercato italiano, può battagliare con Vesync, in termini di qualità e tecnologia offerti. L’umidificatore che vi propongo qui è un po’ ingombrante nella sua forma a siluro, ma perfetto per soggiorni e salotti (ufficialmente può coprire uno spazio di 40 metri quadri), in particolare per essere posizionato per terra, magari vicino a piante di una certa dimensione. Non è controllabile da remoto, ma ha un paio di caratteristiche che lo rendono interessante: cartuccia di demineralizzazione, per poterlo utilizzare senza problemi anche con acqua molto calcarea; tecnologia “clean tank” che dovrebbe assicurare una minore manutenzione.
Il costo è il più alto tra quelli degli altri umidificatori trattati in questo articolo, ma vale la pena farci un pensierino.

Considerazioni finali

Lo avrete intuito, di umidificatori in giro ce n’è per tutti i gusti. Il mercato, in Italia e negli altri paesi europei, è in forte crescita, e non è escluso che nei prossimi mesi venga fuori un produttore in grado di concorrere con le aziende americane, Vesync e Homedics su tutte. Ciò che è certo è che, essendo l’offerta già abbastanza ampia, e gli ambienti e possibilità di utilizzo molto variegati, potete soddisfare la vostra curiosità a tranches. Partite da un umidificatore piccolo magari, da posizionare in un punto dove sono concentrate diverse delle vostre amiche tropicali. Se, dopo qualche settimana, o qualche mese, avrete notato benefici, potrete sempre acquistare un secondo umidificatore, magari più grande, e cominciare a godere anche voi di un’aria meno secca e più umida.

Massimo Tortorici

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Marciume radicale: cos’è, come si previene e come si cura

Marciume radicale: cos’è, come si previene e come si cura

Scritto da Massimo Tortorici, 20 Ott 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

Le radici affette da marciume radicale non sono carnose e resistenti come quelle sane, no. Le radici marciscono a tutti gli effetti, e quindi sono scure, mollicce, deboli. Radici così non possono assurgere alla loro funzione, che è fondamentale per la vita della pianta: assorbire le sostanze nutrienti e immetterle nel sistema linfatico.

In autunno si sa, cambia il tempo. Le giornate si accorciano, le temperature si abbassano, l’umidità aumenta (fino a che non accendiamo i riscaldamenti) e, in generale, l’umore ne risente. Non solo il nostro, anche quello delle nostre care amiche piante. Metabolismo rallentato, meno energia per produrre tessuti e radici nuove e una ricerca spasmodica della luce solare sempre più ridotta. Ecco, per loro, spesso e volentieri tropicali abituate in natura ad avere condizioni atmosferiche pressoché stabili, già la situazione è abbastanza deprimente. Evitiamo di metterci il carico anche noi! “Come?” direte voi. Ma è ovvio, innaffiandole troppo! Eh sì, quella che ai più può sembrare un’attività a favore di piante, in realtà non lo è o rischia di esserlo sempre meno in autunno e ancora peggio in inverno. Le piante, in genere, non tardano a manifestare problemi, e lo fanno attraverso le loro foglie. C’è un problema più comune di altri, causato da questa situazione: stiamo parlando del “Marciume Radicale”, il problema numero uno (tolto qualsiasi tipo di parassita) per la salute delle piante che teniamo in casa. In questo articolo cercheremo di capire meglio di che si tratta, come può essere evitato e come comportarsi quando si manifesta in maniera evidente.

Cos’è il marciume radicale e quali sono i sintomi

Il marciume radicale è una malattia della pianta che colpisce le radici, le quali, letteralmente, marciscono. Le radici affette da marciume radicale non sono carnose e resistenti come quelle sane, no. Le radici marciscono a tutti gli effetti, e quindi sono scure, mollicce, deboli. Va da sé, che radici così non possono assurgere alla loro funzione, che è fondamentale per la vita della pianta: assorbire le sostanze nutrienti e immetterle nel sistema linfatico. Di conseguenza, prima ancora di svasare la pianta e rendervi conto che alcune o molte radici sono in questo stato pietoso, i sintomi del marciume radicale spesso sono chiari e li vedete sulle foglie della vostra pianta: foglie che si anneriscono sui margini, con macchie che si allargano sempre più verso il centro della foglia; foglie che avvizziscono e ingialliscono rapidamente. Tutto questo in un contesto in cui voi siete sicure/i non ci siano parassiti e, soprattutto siete sicure/i l’acqua non manchi alla vostra pianta.

Le condizioni che causano il marciume radicale

I responsabili diretti del marciume radicale sono funghi, batteri o nematodi (vermi del terreno), difficilmente in contemporanea, in genere uno alla volta. Tutte creaturine simpatiche insomma! Ok, questi sono i veri cattivoni della situazione. Già, ma come ci arrivano nel substrato della nostra pianta, tenuta nella nostra casa pulita e ordinata? O meglio, come proliferano, fino a causare marciume radicale? Una sola parola: Acqua. O, per essere più specifici “Umidità”. L’umidità, in eccesso, all’interno del substrato dove sono ben piantate le radici della nostra pianta, è l’alleato unico di questi microorganismi. Se il terreno attorno alle radici rimane molto umido per tanti e tanti giorni, è lì che il marciume può originarsi. Se poi continuiamo a tenerlo molto umido per settimane, beh, il marciume si espande rapidamente.

Innaffiare meno o cambiare substrato?

Eccoci arrivati alle soluzioni. Poche chiacchere, il substrato di qualsiasi pianta coltivata in vaso, non deve rimanere mai molto umido per troppo tempo. E qui vengono fuori le prime domande per voi: i substrati nei quali coltivate le vostre piante, sono ben drenati e areati? Quando innaffiate, l’acqua tende ad uscire velocemente dai fori di drenaggio, o ci mette parecchio, pur venendo assorbita rapidamente? Ma i fori di scolo i vostri vasi ce li hanno o no? Insomma, lo avrete capito, se la vostra risposta a una di queste domande è “NO” dovete stare molto attente/i quando innaffiate. Se infatti il vaso non ha fori di drenaggio, il substrato è un semplice terriccio universale, o al massimo un mix di terriccio e perlite e la pianta la tenete in casa, dovrete far passare molto tempo fra le annaffiature. Per quasi tutte le piante di origine tropicale che teniamo in casa (con rare eccezioni, tipo il Papiro, che ama stare in un terreno quasi zuppo) le annaffiature vanno fatte quando il substrato è asciutto per metà o anche per due terzi. Non basta che lo sia in superficie, e per piante che stanno in vasi di diametro 28-40 cm non basta neanche verificarne l’umidità con il “metodo del dito” (infilare il dito nel terreno e vedere se è umido). Usate piuttosto uno stecco lungo al posto del dito, o, meglio ancora, il metodo del “soppesare la pianta”: dopo un po’ di tempo, tutti acquisiamo esperienza sufficiente per capire, dal peso del vaso (e della pianta al suo interno), quanto è bagnato o asciutto il substrato.

Detto ciò, esiste un’alternativa, per evitare tutti questi drammi psicologici, almeno in gran parte: usare substrati drenanti e ben areati (e vasi con fori di drenaggio). Mi riferisco soprattutto alle piante tropicali. Aracee (Monstera, Alocasia, Philodendron, Pothos, Anthurium, etc.), Marantacee (Maranta Leuconeura, Calathee) e tutte le altre famiglie di piante tipicamente tropicali che amano stare in ambienti umidi, hanno bisogno di substrati così. Cosa vuole dire un substrato drenante e ben areato? Vuol dire comporlo con elementi che favoriscono un livello di umidità costante, assorbendo quella in eccesso e rilasciandola gradualmente, ed elementi che creano spazi all’interno del terreno. Leggete questo articolo per farvi un’idea completa. Per le piante grasse la soluzione è più facile, i terricci ad hoc che si trovano in giro vanno benissimo. Certo, avere il substrato giusto, e non un semplice terriccio universale, o “terriccio per piante verdi”, facilita di parecchio il quadro, ma il pericolo marciume radicale rimane comunque presente (innaffiare ogni due giorni perché la vostra pianta è coltivata in un substrato ottimale, non è comunque una buona idea).

Quando optare per un rinvaso

Se vi rendete conto del marciume radicale all’inizio, e cioè i sintomi fogliari sono minimi e svasando la pianta le radici sono solo parzialmente attaccate, potete risolvere il problema nel seguente modo:

1) Eliminate le radici danneggiate e marce

2) Rinvasate la pianta nello stesso vaso

2.1) Se il substrato di partenza è semplice terriccio e non volete cambiarlo, perché pensate vada bene così, allora cambiate frequenza di annaffiatura in maniera drastica. Sarà inoltre necessario sostituire il terriccio zuppo con terriccio nuovo asciutto.

2.2) Se invece pensate il substrato vada cambiato, andandone ad aumentare la capacità di drenaggio e di arieggiamento, allora procedete. Non esistono stagioni buone e cattive per portare una pianta dal substrato sbagliato al substrato giusto; ogni momento è buono.

3) In entrambi i casi (terriccio o substrato adatto), irrigate, possibilmente, diluendo nell’acqua un antifungino ad ampio spettro; in ogni caso, fatelo seguendo le indicazioni del produttore e per un massimo di due trattamenti.

    Piccola nota: il rinvaso inteso come cambio del substrato a volte non è sufficiente. Spesso, infatti, si scelgono vasi troppo grandi, rispetto alla grandezza dell’apparato radicale della pianta. Meglio far stare una pianta con radici un po’ “costrette” che farla stare in un vaso che fa fatica a riempire, con le sue radici. In questi casi il terriccio o substrato tenderà a rimanere più zuppo, perché in molte zone non ci sono radici pronte a succhiar via l’umidità. Ecco, in questi casi, il marciume radicale è più facile che si manifesti, e, oltre a fare tutto quello che si è detto sopra, dovrete anche trasferire la vostra pianta malaticcia in un vaso più piccolo e adeguato al suo apparato radicale.

    Una soluzione drastica

    Ok, quello descritto nel paragrafo precedente è il rimedio da adottare quando la situazione è ancora sotto controllo. Quando però le radici sono particolarmente compromesse, bisogna osare di più. Vale anche se avete applicato il metodo descritto prima, ma non avete ottenuto i risultati sperati e il marciume radicale ha continuato a fare danni. La soluzione in questi casi deve essere la più drastica possibile: taglio. Dovete cioè fare una bella talea della vostra pianta; nel caso delle rizomatose, come ad esempio le Alocasie, non farete talee ma preserverete il rizoma, togliendo tutte le radici marce. Sia esso un rizoma, o una talea, quello che resta della vostra pianta va messo in acqua. Bisogna ricominciare da zero, far spuntare nuove radici, sane, pulite, capaci di svolgere bene la loro funzione fondamentale. E quando la vostra pianta si sarà ripresa e i tempi saranno maturi per rimetterla a dimora in un vaso vero e proprio, il marciume radicale sarà solo un brutto ricordo, anzi, un brutto sogno che voi, e la vostra pianta sopravvissuta, non rifarete più.

    Massimo Tortorici

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    Biostimolanti: preziosi alleati per la salute delle nostre piante

    Biostimolanti: preziosi alleati per la salute delle nostre piante

    Scritto da Massimo Tortorici, 23 Ago 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

    Siete tornate/i dalle vacanze estive e avete trovato un po’ di piante messe male, alcune mezze-secche, altre attaccate da acari o ragnetto rosso. Oppure, si avvicina la stagione fredda, e avete paura di come reggeranno le piante che terrete fuori, per ragioni logistiche, di come risponderanno ad eventuali drastici cali di temperatura. Oppure ancora, siamo ad inizio primavera e sperate il vostro limone fiorisca e soprattutto fruttifichi il più possibile. Cos’hanno in comune queste tre situazioni apparentemente molto diverse tra loro? Voi direte: “Ansia, mi mettono tanta ansia!” Già, a parte questo, condizione obbligata quando si è piantologhe/ghi, c’è un altro elemento che accomuna tutte e tre le situazioni descritte, o meglio, una parola: BIOSTIMOLANTE. In tutti e tre i casi, se ne userete uno, potrete dormire sonni più tranquilli, o, in altri termini, ridurre l’“ansia da plantlover”.

    I biostimolanti non sono concimi

    Partiamo dalle basi. I biostimolanti o fitostimolanti sono diversi dai concimi e per tale ragione, diciamo subito che nel 90% dei casi si possono usare contemporaneamente all’impiego del concime. La differenza è concettuale: i concimi apportano macro- e micro-elementi (come spiego meglio in questo articolo) che, una volta assorbiti, permettono alla pianta di produrre energia. I biostimolanti, invece, apportano energia diretta alla pianta, principalmente tramite aminoacidi e specifici micro-elementi. Il concime costituisce quindi la dieta base di una pianta, i nutrienti che apporta non possono e non devono mai mancare. I biostimolanti vanno considerati più come integratori veri e propri alla dieta delle vostre piante. Come detto, i due tipi di prodotti possono essere usati in contemporanea, e cioè mischiando all’acqua di irrigazione sia il concime liquido che il biostimolante, oppure irrigando con concime e spruzzando il biostimolante sul fogliame. Ciò è vero sempre quando utilizzate un concime liquido. Nel caso utilizziate invece un concime granulare, a rilascio più lento e prolungato, meglio alternare i due prodotti.

    Di biostimolanti ce n’è uno per ogni evenienza, ne parliamo nei prossimi paragrafi.

    Prevenire è meglio che curare

    Il primo prodotto di cui è giusto parlare è quello forse più conosciuto: CIFO Algatron. Conosciuto dai più come prodotto utile nella fase di radicazione di una talea nel passaggio da idro- o semi-idroponica a terra, Algatron è utilissimo in diverse altre situazioni. Diciamo che ogni volta che avete la possibilità di prevedere che la vostra o alcune vostre piante andranno incontro a condizioni di stress importante, utilizzare CIFO Algatron è un’ottima idea. Di che situazioni parliamo? Partenza pre-vacanze estive e quindi prolungato periodo di caldo, di siccità e di scarso ricambio d’aria; avvicinarsi della stagione invernale per un albero di Limone che deve, per forza di cose, rimanere all’aperto; arrivo (previsto grazie alle previsioni meteo) di importanti sbalzi termici, siano essi caldi o freddi; e naturalmente, passaggio talea da idro- o semi-idroponica a substrato. Volete sapere qual è il segreto di Algatron? È nel nome stesso: Alga Macrocystis. Questo biostimolante è, di fatti, un macerato di Alga Macrocystis, un’alga che contiene sostanze che aiutano ad aumentare la concentrazione di soluti all’interno delle cellule della pianta. Per farla breve, utilizzando Algatron, la vostra pianta sarà maggiormente in grado di mantenere il giusto livello di idratazione al variare delle condizioni atmosferiche dei giorni successivi. Sia chiaro, Algatron non fa miracoli, ma se utilizzato per tempo e nelle giuste dosi, il risultato è tangibile; o meglio non vi accorgerete quasi di cosa ha rischiato la vostra pianta, e andrete avanti tranquilli e beati.

    Quando il gioco si fa duro…

    Non siete state/i previdenti, o peggio ancora siete state/i tirchie/i pensando che, dopotutto, potevate fare a meno di un prodotto “di nicchia” come può sembrare un biostimolante, e ora vi ritrovate con piante stressate e stentate? Tranquilli, niente panico! C’è Sinergon Plus, sempre di CIFO. CIFO Sinergon Plus è un fitostimolante che, di fatti, si usa dopo che la pianta è stata sottoposta ad uno stress di qualunque natura, a differenza di Algatron che risulta utile prima dell’evento. Nello specifico è ottimo sia in casi di stress termico (troppo caldo o troppo freddo, magari anche prolungatamente), sia in casi di stress idrico (siccità o eccesso di acqua). Ecco nel caso di stress da eccesso idrico, va ovviamente impiegato nebulizzandolo sulle foglie, no di certo diluendolo nell’acqua di irrigazione. Sembra scontato, ma è meglio specificarlo. Oltre ad aiutarvi a risolvere queste situazioni di stress termico/idrico, però, Sinergon Plus è anche un ottimo alleato nella lotta contro i parassiti. In effetti, Sinergon Plus, grazie ai suoi componenti e all’energia diretta che è in grado di dare alla pianta, aiuta la pianta stessa a migliorare e velocizzare l’assorbimento degli antiparassitari che state impiegando (siano essi prodotti contro ragnetto rosso, afidi, cocciniglia, etc.). Insomma, dovete proprio averne una bottiglia in casa!

    Quando i dettagli fanno la differenza

    Ok gestire sbalzi termici e traumi…queste sono situazioncine che in genere si presentano con le piante da interno. Ma se volessimo dare una mano a piante fiorate o dare un supporto al mini-orto che stiamo cercando di allestire in balcone? Anche per questi casi c’è un biostimolante di riferimento: il Bio Oro, naturalmente, CIFO. Questo fitostimolante, è infatti particolarmente indicato per il supporto di fioriture e delle fasi successive, se ce ne sono. Nello specifico risulta molto utile durante l’allegagione, e cioè quella fase in cui il fruttino prende il posto del fiore. Una pianta su tutti, il Limone. Nel caso del Limone, come è noto, l’allegagione è spesso traumatica. Buona parte dei fruttini cade entro il primo mese. Una dinamica del tutto naturale. Fare la fotosintesi e far crescere fiori e frutti richiede molta energia; in più durante la primavera è difficile valutare il giusto apporto idrico da fornire, e spesso si sbaglia, dandone troppa. Il CIFO Bio Oro, supporta la pianta proprio in questa fase, e aiuta nel ridurre al minimo la perdita di fruttini. Inoltre, a quanto pare, supporta anche lo sviluppo dei frutti, migliorandone il sapore; e si può usare fino al giorno prima della raccolta, è bio 100% naturale. Insomma,  un vero toccasana, da utilizzare, a differenza degli altri due citati, solo diluito con l’acqua di irrigazione, mai sul fogliame.

    Considerazioni Finali

    Vi si è aperto un mondo, vero? Ora, sia chiaro, una pianta in vaso può vivere benissimo senza l’apporto di un biostimolante, il vero prodotto fondamentale per sostenerne la crescita e il nutrimento è il concime. Utilizzando un biostimolante, però potrete a tutti gli effetti affermare di essere passati ad un livello successivo di cure; soprattutto, potrete ridurre al minimo la famosa ansia da plant parent e guardare con ottimismo al futuro delle vostre amate piante.

    Massimo Tortorici

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    Piante sofferenti: le 5 regole per farle sopravvivere

    Piante sofferenti: le 5 regole per farle sopravvivere

    Scritto da Massimo Tortorici, 27 Lug 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

    Sarà capitato a tutte/i di comprare una bella pianta da interno più o meno rara, attratte/i dal fascino decorativo del suo fogliame, e dalla sfida di voler fare un passo in più nella coltivazione delle piante da interno. Qualche informazione raccolta qua e là, un paio di dritte captate dal vivaista e una serie di contenuti social utili a partire nel migliore dei modi. Ok, il primo mese va alla grande, ma tutti gli altri? Succede spesso che, ad un certo punto, dopo diverse settimane o alcuni mesi di tranquillità, la vostra bella pianta nuova dia segni di sofferenza. Questi possono essere più o meno evidenti, a effetto graduale o improvviso, con conseguenze più o meno gravi. La vostra reazione però può essere solo una: “Devo fare qualcosa”. Già, ma cosa? In questo articolo, proverò a suggerirvi alcune regole generali che si possono applicare in tutti o quasi tutti i casi di piante da interno che rischiano più o meno la vita.

    Regola numero 1: osservare la propria pianta

    Per prima cosa, bisogna osservare le proprie piante. Non basta guardarle, o meglio, bearsi ogni tanto di quanto sono belle è sicuramente un’attività appagante. Quello che va fatto è prendersi un momento ogni settimana per guardare da vicino le foglie, l’unico vero specchio immediato della salute di una pianta. È fondamentale farlo, più che altro perché quasi tutti i problemi che può avere una pianta da interno, se riscontrati e affrontati nella fase iniziale, possono essere facilmente (diciamolo sottovoce) risolti. Proviamo a fare qualche esempio:

    • Foglie con sostanza appiccicosa sul fronte e soprattutto sul retro: presenza di ragnetto rosso, acari o cocciniglia
    • Foglie con piccole ragnatele lungo la nervatura centrale e puntini bianchi sulla pagina: ragnetto rosso o acari
    • Foglie con margini marroni che si allargano gradualmente: eccesso di umidità nel terreno e possibile marciume radicale
    • Foglie che diventano gialle e cadono velocemente, senza seccare: in alcuni casi ragnetto rosso/acaro, in altri (tipo Ficus Elastica e Ficus Benjamin) troppa acqua somministrata
    • Foglie che si abbassano o che seccano: carenza idrica
    • Foglie rugose che cadono in poco tempo: shock termico e posizione non ottimale (troppo caldo o troppo freddo)

    Che siano Calathee, Alocasie, Monstere, Filodendri, Crassule, o qualsiasi altra aracea, cactacea, etc. queste sono situazioni che possono riscontrarsi su qualunque pianta.

    Regola numero 2: analizzare lo stato delle radici

    Se dalla vostra ispezione settimanale avete, ahimè, riscontrato la presenza di un problema, ma non avete ancora capito di che tipo sia e come intervenire, allora dovete per forza passare alla fase successiva: il controllo delle radici. Le radici possono infatti essere la fonte del problema. Dalle radici la pianta assorbe tutti i nutrienti che le sono necessari per crescere, produrre nuove foglie e/o fiori, mantenere un aspetto sano. Se il problema non è di natura parassitaria, né associabile alle condizioni esterne, allora dovete ricercarlo sottoterra. Estraete delicatamente la vostra pianta dal vaso, ripulite la parte inferiore del panetto dalla terra, fino a scoprire le radici. Se state facendo questa operazione perché avete riscontrato un problema sul fogliame della vostra pianta, allora è molto probabile che la terra attorno alle radici sia molto umida e compatta, soprattutto se il substrato è formato principalmente da terriccio universale e non da tutti gli altri elementi che facilitano drenaggio e areazione. In questo caso andateci molto piano nel ripulire le radici dalla terra. Comunque, se c’è un problema legato alle radici, dovreste riscontrare:

    • Radici molto scure, mollicce, che si sfaldano molto facilmente: non c’è dubbio, si tratta di marciume radicale, in stato più o meno avanzato
    • Radici sottili e bianche, come ammuffite: attacco fungino in corso

    Regola numero 3: adottare la soluzione al problema

    Individuato un problema, non resta che risolverlo. Ogni problema ha la sua soluzione, teoricamente. Nel blog Caffè Tropicale ci sono alcuni specifici articoli di approfondimento. Bisogna vedere a che stadio di avanzamento lo avete intercettato, il problema. Più tardi è, meno efficace sarà la soluzione da adottare. Ecco perché è fondamentale osservare frequentemente le nostre piante, anche quando sembrano in perfetta salute. Avete trovato ragnetti e acari? Usate un prodotto specifico. Avete trovato radici marce? Eliminatele e reinterrate la vostra pianta, cambiandone il substrato, se quello in cui sta non è adatto e stando più attente/i a come e quanto irrigate. Quello che è certo è che, affinchè la vostra pianta “malata” si riprenda, ci vorrà del tempo, come sempre accade in natura.

    Regola numero 4: essere pronti a soluzioni radicali

    Nel mondo delle piante da interno non ci sono mai soluzioni sicure al 100% e a volte può essere davvero difficile comprendere in tempo qual è il vero problema, o comunque riuscire a risolverlo realmente. Tutte le piante hanno però un aspetto in comune: sono in grado di rigenerarsi. Bisogna sempre tenerlo a mente, quando si pensa non ci sia più modo di salvare la nostra pianta. L’importante è non aver paura di adottare soluzioni drastiche. Avete trattato più volte la vostra Alocasia con un prodotto specifico, ma alla fine il parassita di turno ha avuto la meglio? Non siete riusciti ad arginare l’attacco fungino che ha atrofizzato le radici del vostro Ficus Lyrata? Avete diradato le annaffiature, ma le foglie della vostra Monstera Deliciosa continuano a macchiarsi di marrone? Nessun problema, prendete un paio di forbici, ricavata una o più talee apicali e immergetele in acqua aspettando che spuntino nuove radici. Oppure fate in modo che i rizomi (nei casi in cui ci sono, come per Alocasie) rimangano vivi, mettendoli in acqua, o in perlite, oppure ancora adagiati su un letto si sfagno tenuto sempre umido. Insomma, quello che dovete fare è, di fatti, propagare la vostra pianta, o comunque farla ripartire da zero, cercando di sfruttare al meglio le parti sane che ne rimangono. Tutto questo grazie a due alleati fondamentali: Acqua e Luce.

    Regola numero 5: non perdere mai la speranza

    Questa è la regola principale tra tutte quelle citate. Spesso infatti ci si scoraggia, soprattutto quando, nonostante l’adozione di una possibile soluzione al problema riscontrato non da’ i frutti sperati. “Azzerare” la situazione, ripartire da zero è psicologicamente molto duro, ma a volte è esattamente ciò che deve essere fatto per alimentare le speranze residue di salvare la nostra pianta, con cui, evidentemente, si è ormai stabilito un rapporto. In alcuni casi, bisogna attendere molto, come ad esempio per le Calathee: spesso succede che questo tipo di piante si prendano “un coccolone” improvviso, perdendo tutto il fogliame in maniera inesorabile. L’unica cosa che potrete fare è cercare di restituire alla vostra Calathea le condizioni migliori per prosperare (luce, temperatura e, soprattutto, substrato adatto). A volte, con il fogliame praticamente azzerato, può accadere che dopo alcune settimane di apparente morte, sbuchi di colpo una nuova foglia dal terreno. Miracolo? No, semplicemente “Natura”. Ah, ovviamente dovete crederci, ogni tanto il vaso con la vostra ex Calathea va innaffiato, immaginando che lì ci sia una pianta.

    Considerazioni Finali

    Lo avrete capito, o forse lo saprete già, perché ci siete passate/i. Una volta che cominciate a mettervi delle piante dentro casa, queste diventano veri e proprio componenti della famiglia, creature a cui dedicare attenzioni e cure, anche nei momenti più difficili. E vedrete che quando supererete un problema apparentemente insormontabile, la soddisfazione di essere riuscite/i a salvare la vostra amichetta verde, sarà una delle sensazioni più appaganti che abbiate mai provato.

    Massimo Tortorici

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    Piante uguali ma diverse: quando l’errore di classificazione è dietro l’angolo

    Piante uguali ma diverse: quando l’errore di classificazione è dietro l’angolo

    Scritto da Massimo Tortorici, 30 Giu 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

    “Guardate che bello il mio Scindapsus Aureus con le sue foglie verde brillante”; “Raga, questa Monstera Minima mi fa impazzire, guardate come è cresciuta in altezza!”
    Quante volte abbiamo letto o sentito frasi del genere, nelle decine di contenuti fruiti tramite i social e abbiamo pensato che quelle piante si chiamassero proprio in quel modo. Curiosi/e, siamo andati/e a cercare foto a supporto fra gli hashtag di instagram o su Google Immagini, avendone praticamente sempre conferma. Già, ma siamo sicuri/e che sia giusto così? Davvero Instagram e Google sono le fonti più autorevoli per consolidare le nostre conoscenze botaniche? Ovviamente no. Voi direte “vabbè, io chiedo al negozio di piante sotto casa o al mio vivaio preferito”. Beh, anche in questo caso camminate su un terreno scivoloso. Quando si tratta di nomi di piante, anche nei vivai più specializzati la trappola è dietro l’angolo: spesso le piante vengono proprio etichettate con nomi sbagliati! E allora che fare?

    Una fonte autorevole

    E allora bisogna cercare una fonte davvero autorevole: il libro di un esperto? NO. L’enciclopedia di piante in vendita in libreria? NO. Pianteincasa.com? NO 😀
    Ci vuole qualcosa di superiore, qualcosa tipo un Orto Botanico attivo in UK da oltre 250 anni, patrimonio dell’UNESCO dal 2003, esteso su 120 ettari, nei quali sono ospitate oltre 50.000 piante, punto di riferimento assoluto ed importante centro di ricerca in ambito botanico, con oltre 300 ricercatori. Di chi sto parlando? Dei Royal Botanic Gardens, Kew, meglio noti come Kew Gardens. Tra gli innumerevoli progetti portati avanti da questo centro di eccellenza mondiale, ce n’è uno molto utile per noi Plant Nerd: si chiama “Plants of the World Online”, una vera e proprio enciclopedia open source, dove sono stipati oltre 1,2 milioni di nomi di piante. Attiva dal 2017 e integrata con il World Checklist of Vascular Plants (WCVP), un dizionario sulle piante, curato sempre da loro, questa è una vera e proprio enciclopedia dove è possibile trovare i riferimenti di qualunque specie di pianta. Per riferimenti mi riferisco non solo al nome del Genere (es: Alocasia) e alla famiglia di appartenenza (es. Araceae); eh no, la cosa bella è che per ogni specie (es: Alocasia Zebrina), sono riportati anche i sinonimi (es: Alocasia Wenzelii, appunto un altro modo di chiamare la Zebrina). Quindi, se avete un dubbio sul nome di una pianta, basterà andare su plantsoftheworldonline, digitare il nome che avete in mente e scoprire se esiste come specie a sé, o se è semplicemente un altro modo di chiamare una specie botanicamente nota con un altro nome. La cosa bella è che, pur trattandosi di un’enciclopedia botanica, trovate anche i nomi comunemente usati (tipo “Orecchie di Elefante” per l’ Alocasia Macrorrhizos, Fiddle-fig Tree per il Ficus Lyrata), e anche in questi casi potreste trovare delle sorprese. E allora via con le rivelazioni!

    Filodendro o Monstera Deliciosa?

    Risolviamo subito un dubbio base che può sembrare assurdo ai più, ma che in realtà si vede in giro più di quanto si possa immaginare. La pianta con le foglie grandi e i buchi si chiama Monstera Deliciosa e appartiene alla famiglia delle Monstera. Non è un Filodendro. Speriamo che prima o poi tutti i vivai si allineino e la etichettino con il suo vero nome.

    Monstera Deliciosa vs. Monstera Borsigiana

    Ecco una di quelle discussioni che accendono i cuori di qualsiasi plant nerd. Quella che ho in casa è una Monstera Deliciosa o una Monstera Borsigiana? Le foglie della vostra Monstera Deliciosa sono più piccole di molte altre Monstera viste in giro? È qui che si insinua il dubbio nella vostra mente! Una volta immaginato che potrebbero esserci due specie di Monstera Deliciosa, ci si fionda su internet a cercare: e gli steli, e l’attaccatura delle foglie agli steli, e la dimensione delle foglie…tutte fantasie! La Monstera Deliciosa è UNA SOLA. Monstera Borsigiana o Monstera Deliciosa var. Borsigiana sono semplicemente sinonimi di Monstera Deliciosa. Se vi state chiedendo perché esistono Monstera Deliciosa con foglie enormi e Monstera Deliciosa con foglie piccole, leggete questo articolo.

    Epipremnum Aureum o Scindapsus Aureus

    Qui si comincia ad andare sul difficile. L’Epipremnum Aureum, chiamato dal 90% delle persone “Pothos” viene anche chiamato Scindapsus Aureus. Scindapsus ed Epipremnum. Le due piante però appartengono a generi diversi. E la differenza in effetti si nota. Prendete appunto un Epipremnum Aureum e uno Scindapsus Pictus e confrontateli: il secondo ha radici più sottili, steli più sottili, nodi più piccoli, foglie più piccole e delicate rispetto all’Epipremnum Aureum. Insomma, apparentemente uguali ma in realtà molto diverse. Detto ciò, potete anche usare Scindapsus Aureus come sinonimo di Epipremnum Aureum, ma sappiate che non è accettato da parecchi esperti botanici.
    Pensate sia finita qui la lezioncina sull’Epipremnum, vero? E invece no, ecco in arrivo una vera bomba: il termine “Pothos” non può essere utilizzato nemmeno come sinonimo di Epipremnum Aureum! “Pothos” infatti, è il nome di un vero e proprio genere distinto di pianta, declinato in decine di specie (tra le quali non c’è ovviamente l’Epipremnum Aureum). Ora, siccome qui siamo di fronte ad un errore che coinvolge il 90% dei piantologhi di tutto il mondo (forse anche il 99%), in questo sito web continueremo a chiamarlo Pothos, pur spiegando che in realtà il “Pothos” è tutt’altra pianta.

    Rhaphidophora Tetrasperma detta anche Monstera Minima

    Eh lo so, tutti noi la chiamiamo ogni tanto Rhaphidophora Tetra…etc. (ogni volta lo scrivo o pronuncio in modo diverso), ma quanto è più comodo chiamarla Monstera Minima? Beh, ho una brutta notizia per voi: secondo i Kew Gardens, “Monstera Minima” non è neanche lontanamente sinonimo di “Rhaphidophora Tetrasperma”. Anzi, stiamo parlando di due specie distinte, l’una appartenente al genere Monstera, l’altra al genere Rhaphidophora. E allora quale abbiamo in casa tutti/e noi: mi spiace, ma è quella con il nome più complicato, “Rhaphid…” Ok, avete capito! È un peccato, perché le somiglianze con la Monstera Deliciosa ci sarebbero, eccome. Però quello che dicono i ricercatori dei Kew Gardens non si discute, si prende per vero.

    L’appetito vien mangiando

    Bene, avete scaldato i motori? Ora si fa sul serio! Scherzo! Dico la verità, quando ho cominciato ad approfondire questo argomento, ero carico, ma poi mi sono reso conto che non sarebbero bastate 10 pagine di articolo per affrontare tutti i casi di confusione riguardanti i nomi di piante. Qui ho riportato quelli che mi sembravano più caldi. E soprattutto, l’obiettivo era quello di mettere a disposizione di chiunque incappi in questo articolo, uno strumento autorevole, facile da consultare, ottimo per ampliare le proprie conoscenze. Sta a voi scatenarvi e incendiare la barra di ricerca!

    Massimo Tortorici

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    5 piante con fiori adatte per balconi esposti a nord

    5 Piante con Fiori Adatte a Balconi Esposti a Nord

    Scritto da Massimo Tortorici, 13 Mag 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

    Se un balcone è esposto a nord il sole scarseggia, è vero, però l’intensità della luce, quella rimane ottima, siamo pur sempre abbastanza vicini al Tropico del Cancro. In più, le temperature sono tutto sommato buone.

    “Ho un balcone esposto a nord, qui non cresce niente”; oppure “Io ho il sole solo un’ora la mattina e niente più, inutile provare a piantare qualcosa”. Quante volte, parlando di piante, vi siete confrontate/i con qualcuno che sosteneva di avere questi problemi? Anzi, è probabile che, se state leggendo questo articolo, siate direttamente interessate/i, perché vi siete rese/i conto che in realtà, forse, sono tutte scuse. Già, dire che a nord non è possibile far crescere nulla di interessante, potrebbe essere vero forse da Berlino in su, ma non qui da noi, non in Italia! Sia chiaro, la luce, il sole, è fondamentale per tutte le piante. In particolare, è opinione diffusa che più luce equivalga ad una maggiore fioritura. Tutto vero, le piante, per produrre un fiore, hanno bisogno di energia extra, energia che ricavano soprattutto dal processo di fotosintesi, oltreché dal nutrimento assorbito dal terreno. Se un balcone è esposto a nord il sole scarseggia, è vero, però l’intensità della luce, quella rimane ottima, siamo pur sempre abbastanza vicini al Tropico del Cancro. In più, le temperature sono tutto sommato buone. Ed è questo l’altro fattore che fa sì che qui da noi ci siano comunque diverse piante fiorate che si adattano bene ad essere coltivate in balconi esposti a nord. Volete alcuni esempi? Proseguendo nella lettura di questo articolo, ne troverete qualcuno.

    Rododendro

    Facciamo subito il primo esempio di pianta che, nel suo ambiente originario prospera in pieno sole, mentre da noi preferisce stare a mezz’ombra: il Rododendro. Arbusto solito crescere (per la maggior parte delle varietà) in montagna, anche in posizioni soleggiate, il Rododendro ha bisogno di temperature non troppo alte: tradotto, se abitate nel centro-sud o comunque in una qualsiasi città d’arte italiana, anche del Nord-Italia, il Rododendro dovrete metterlo all’ombra. Il sole caldo dell’estate lo indebolirebbe troppo. Fiori splendidi con pistilli e screziature dei petali particolarissimi. Sì, ma stando a nord, fiorirà? Ma certo! Magari la fioritura sarà meno abbondante di quanto non lo sia nelle zone di origine, ma un Rododendro coltivato in un qualsiasi balcone italiano esposto a nord, con l’aiuto di un buon concime liquido, fa comunque la sua figura. Allo stesso genere, e cioè quello del Rhododendron, appartiene anche l’Azalea, pianta bellissima, che però mi permetto di mettere in secondo piano per tre motivi: è più difficile farla fiorire più anni di fila; sopporta meno il freddo, rispetto al comune Rododendro e la maggior parte delle varietà è decidua; è di dimensioni più contenute. Insomma, se volete una pianta abbastanza solida, duratura e un minimo affidabile, lasciate da parte le Azalee, prendete un Rododendro.

    Camelia

    Con questa il livello di eleganza tocca i massimi livelli di questo articolo. La Camelia, in particolare la Camellia Japonica (in assoluto la varietà più diffusa), è infatti un arbusto caratterizzato da fiori in grado di fare una seria concorrenza alle Rose. La forma in effetti, da lontano può apparire molto simile, ma la differenza è netta da vicino: i petali della Camellia Japonica si aprono praticamente in orizzontale e sono sovrapposti gli uni sugli altri, dando al fiore un aspetto molto pieno e rotondo. Il colore del fiore di Camelia va dal bianco, al rosa, al rosso (il secondo è quello che preferisco), spine non ce ne sono (altra differenza rispetto alle rose), le foglie sono abbastanza carnose. In generale, una Camelia, se in salute, è in grado di crescere parecchio e va potata solo per regolarne l’espansione. La fioritura a volte può essere talmente abbondante da indebolire la pianta. Non “preoccupatevi”, fiorisce solo tra marzo e maggio. Preoccupatevi sicuramente di metterla al riparo nella stagione invernale, questo sì: le correnti d’aria fredda possono farle parecchio male.

    Ortensia

    Su questa pianta ce ne sarebbe da dire. È inutile girarci intorno: l’aspetto più intrigante dell’Ortensia è il colore del suo fiore; ed è anche il motivo per cui molti, nel tempo, rimangono delusi. Il fiore dell’Ortensia, infatti può cambiare colore nel tempo. Il motivo risiede nel ph del terreno. Più il ph è basso, quindi acido, più il terreno sarà ricco di ferro, ed il fiore assumerà quindi un colore azzurro, più o meno carico; viceversa, se il terreno avrà un ph più alto, il fiore sarà rosa. Quindi, nel caso in cui voi compriate un’Ortensia per i suoi fiori blu, sappiate che, se negli anni volete continuare ad ammirare quel colore, dovrete garantirgli un terreno con un ph piuttosto acido. Comunque, non andiamo oltre, come detto ci sarebbe un bel po’ da scrivere. In questa sede aggiungo che l’Ortensia amerebbe anche il sole se solo il clima del vostro balcone non andasse mai oltre i 23 gradi (motivo per cui nelle Azzorre ci sono sterminate siepi di Ortensie tranquillamente in pieno sole). In Italia, spesso, proprio l’esposizione a nord garantisce il giusto equilibrio temperatura-luce congeniale all’Ortensia. Non potatela troppo, mi raccomando, tende a rifiorire sui rami dove lo ha già fatto.

    Viburno

    Diciamolo, questa è la pianta con la fioritura forse meno esaltante, tra tutte quelle trattate in questo articolo. Il Viburno è infatti un arbusto che fiorisce una volta sola l’anno, all’inizio della primavera. I fiori sono piccoli e si raggruppano in grappoli abbastanza appariscenti, di colore bianco, e durano in realtà diverse settimane. Già, ma quelli sono, finito il mese della fioritura non se ne vedranno altri fino all’anno successivo. La particolarità però, sta nel fatto che il Viburno (e mi riferisco alle varietà più diffuse), fruttifica, producendo bacche rosse, molto adatte al periodo dell’anno in cui spuntano, e cioè l’autunno. Il Viburno, a differenza delle altre piante di cui parliamo in questo articolo, in Italia si adatta sia al pieno sole che a mezz’ombra, essendo una pianta piuttosto rustica. Insomma, se volete avere una pianta molto affidabile, quasi immortale, da coltivare sul vostro balcone esposto a nord, con il Viburno non vi sbagliate.

    Fuchsia

    Eccoci arrivati alla chicca finale: la Fuchsia. Detta anche “Fucsia”, questa pianta è anche la più delicata tra le 5 nominate in questo articolo. La Fuchsia infatti è meno tollerante, sia al freddo (questo in realtà ce l’ha in comune con la Camelia) che al caldo. Il caldo intenso può arrestarne lo sviluppo, il freddo può ucciderla. Quindi, in parole povere, l’esposizione a nord, almeno per le regioni italiane, è la migliore, purché però il vaso sia traslocabile in una zona più riparata, durante l’inverno (mai in casa perché la Fuchsia ama gli ambienti ben arieggiati). Il fiore, particolarissimo, è il motivo, unico direi, per cui la si compra: un “calice” di un colore, da cui spunta una corolla di petali, spesso di un altro colore. Tonalità del rosa, arancio, malva, ce n’è per tutti i gusti, dipende dalla varietà che scegliete. L’importante è dargli, oltre alle giuste condizioni di “freschezza e luminosità”, il giusto apporto idrico, unito ad un buon concime per piante fiorate e il gioco è fatto: durante i mesi estivi avrete un bel cespuglio ricco di campanule bicolore!

    Considerazioni Finali

    Arrivati a questo punto, avrete capito che in realtà non ci sono piante a cui piace guardare a nord né piante a chi piace guardare a sud. Semplicemente, dovendo noi provare a riprodurre le condizioni il più simili possibili a quelle della loro zona di origine, e tenuto conto delle stagioni, ci sono piante che stanno alla grande in pieno sole e altre che soffrirebbero troppo e che si trovano quindi meglio a stare a mezz’ombra. Insomma, piantologhi esposti a nord, non disperate! Ce ne è anche per voi di piante, e che piante!

    Massimo Tortorici

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    Cocciniglia: come affrontarla ed eliminarla dalle piante

    Cocciniglia: come affrontarla ed eliminarla dalle piante

    Di Massimo Tortorici | Pubblicato in Caffè Tropicale il 26 – Aggiornato il 16 Apr

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    È capitato a tutti di vedere, ad un certo punto, dei batuffolini di cotone sulle foglie delle nostre piante, in prossimità dell’attaccatura di queste al tronco; oppure di vedere dei simpatici puntini bianchi, delle “isolette” sparse sulle foglioline di un’Echeveria o su uno dei nostri mini-cactus. Carini vero? Peccato che dopo un po’ le vostre piante e piantine con “sprazzi di bianco” cominceranno a manifestare problemi: appassimento e decadimento delle foglie, difficoltà a sviluppare nuovi germogli, generale avvizzimento…e qui mi fermo. Se siete un minimo attente/i alle vostre piante, dovreste sapere che si tratta di Cocciniglia, uno dei parassiti apparentemente meno innocui nel mondo delle piante. In realtà, essendo un parassita, non è innocuo per definizione, e quindi, come tutti i parassiti, va affrontato ed estirpato.

    Cocciniglia: varietà e condizioni favorevoli

    Le Cocciniglie, al pari degli Afidi, e contrariamente a quanto avviene per il Ragnetto Rosso, sono dei parassiti facili da individuare. Ci sono tre tipi principali di Cocciniglia:

    • Cocciniglia Cotonosa o Farinosa: è di costituzione “morbida”, cotonosa appunto, attacca principalmente alberi da frutto e piante da fiore. È abbastanza facile da asportare.
    • Cocciniglia Elmetto o Ceroplaste: ben più coriacea rispetto alla precedente, è così chiamata perché ha dorso protetto da uno scudo di cera. Questa caratteristica, unita alle dimensioni più contenute, la rende più difficilmente asportabile rispetto alla Cocciniglia Cotonosa. Le varietà sono diverse (Ceroplastes Sinensis, Cocciniglia del Fico, Ceroplastes Japonicus,etc.), ma l’aspetto e gli effetti sulla pianta ospite sono molto simili. La si trova in colonie molto numerose, soprattutto sulle piante grasse.
    • Cocciniglia Radicale: come suggerisce il nome, si tratta di cocciniglia che attacca le radici della pianta. Ciò rende la cocciniglia radicale la più pericolosa tra le sue simili, in quanto non ci si può accorgere della sua presenza se non svasando la pianta. Attacca quasi esclusivamente piante grasse.

    Ogni pianta è attaccabile dalla Cocciniglia. In inverno potete stare relativamente tranquilli, mentre a partire dai primi caldi primaverili, tenete gli occhi aperti. È il caldo, come per molti parassiti, la condizione che facilita la proliferazione della Cocciniglia. L’assenza di pioggia poi, non fa altro che rendere la vita più facile alla cocciniglia, che in realtà, con un paio di temporali estivo, potrebbe essere quasi del tutto debellata, in  maniera naturale. La cocciniglia odia l’acqua, prolifera su superfici secche. Proprio per questo motivo la cocciniglia radicale attacca quasi esclusivamente le piante grasse: se le mantenete bene, le annaffierete solo quando il terreno è completamente asciutto ed è proprio lo scarso apporto idrico che può far attecchire e sopravvivere la cocciniglia radicale.   

    I sintomi di un’infestazione da Cocciniglia

    Dei sintomi si è già accennato: appassimento e decadimento delle foglie, difficoltà a sviluppare nuovi germogli, etc. La cosa buona, rispetto ad esempio al Ragnetto Rosso, è che potete accorgervi per tempo della presenza della Cocciniglia: come per gli afidi, le cocciniglie sono di dimensione (e colore) abbastanza evidenti. Nel caso della Cocciniglia Cotonosa potrete individuare facilmente un bozzolo grande quanto l’osso di una ciliegia, spesso saldo sotto una foglia, in prossimità del tronco; si tratta della madre che cova i piccoli, che usciranno dopo pochi giorni. Avvenuto ciò, saranno loro che andranno in giro, al loro stadio larvale, piatto e ovale, a colonizzare la pianta. Qualora l’ospite indesiderato sia la Cocciniglia Elmetto, vedrete tante crosticine bianche attaccate alla vostra pianta. A volte si dice la Cocciniglia sia più “buona” rispetto agli altri parassiti, perché la rovina, ma non la uccide. In realtà dipende: se la Cocciniglia è del tipo Ceroplastes (Cocciniglia Elmetto) e infesta una piccola pianta grassa, vedrete che non ci metterà molto a succhiar via la linfa della vostra amata piantina. Dimensioni della pianta attaccata e tipologia di Cocciniglia (quella Elmetto è molto più difficile da debellare), fanno la differenza tra una Cocciniglia “buona” e una “cattiva”. Discorso a parte per la cocciniglia radicale che, come già detto, non è visibile in quanto attacca le radici. L’unico sintomo che può farvi sospettare la sua presenza, è una mancata crescita della vostra succulenta nel pieno della bella stagione (primavera-estate) e un aspetto un pò troppo smunto, asciutto rispetto a quello a cui in genere quella specifica pianta vi ha abituato. Svasatela e verificate se c’è roba bianche sulle radici.

    Come eliminare la Cocciniglia in tre passi

    Eccoci arrivati alla sostanza. Una volta individuata la Cocciniglia, nello specifico quella Cotonosa e quella Elmetto, cosa fare? Di seguito i 3 step, i 3 passi fondamentali per riuscire ad eliminarla. Tenete conto che spesso sarà necessario ripetere l’intero ciclo più di una volta, a seconda dello stadio di avanzamento dell’infestazione, dei rimedi scelti e della vostra bravura nell’applicarli.

    1. Asportare le Cocciniglie

    Alcuni possono pensare di saltare questa operazione, un po’ perché, soprattutto in caso di Cocciniglie Elmetto può essere un’operazione lunga e minuziosa, un po’ perché “tanto spruzzo il prodotto anti-cocciniglia e via”. Giusto. E però, se la pianta è piccola, o se l’infestazione è circoscritta, tanto vale dedicare 15 minuti del proprio tempo, no? Se fatta bene quest’operazione, potreste addirittura saltare lo step 3, risparmiando soldini, ed evitando alla vostra pianta ulteriore stress gratuito. Per rimuovere la Cocciniglia, nel caso di quella Cotonosa, vi basteranno uno o più cotton-fioc, imbevuti di acqua o alcol etilico. Nel caso della Cocciniglia Elmetto, sempre più cotton fioc ma necessariamente imbevuti di alcol etilico, vista la maggior resistenza. Eviterei l’utilizzo di stuzzicadenti, per evitare di bucare la vostra piantina.

    2. Lavare la Pianta

    Questa operazione è importante per due ragioni: la prima è che rimuove la cera e la melata appiccicosa lasciata dalle Cocciniglie, migliorando la respirazione della pianta e prevenendo l’arrivo di fumaggine, un fungo che ostacola la fotosintesi sulle zone in cui si deposita; la seconda ragione per cui bisogna “lavare” la pianta è che ciò la rende più scivolosa e meno attaccabile nei giorni successivi. Si parla di giorni appunto, perchè questa operazione può essere ripetuta a distanza di poco tempo dal primo lavaggio, per prolungare la protezione. Riguardo all’argomento, avrete sicuramente letto da qualche parte dell’efficacia del sapone di marsiglia contro la Cocciniglia. In realtà, opinione personale, con i “rimedi della nonna”, ci fate ben poco; o comunque dovrete faticare parecchio per raggiungere il vostro obiettivo. Il lavaggio con preparati a base di acqua e scaglie di sapone di marsiglia vanno ripetuti più volte in una settimana, e sono efficaci solo se l’infestazione non è in stadio avanzato. In alternativa, si può usare il bicarbonato, oppure un prodotto sempre naturale, a base sì di sapone di marsiglia, ma anche di altri elementi, come CIFO Sapone Molle . Disponibile sia pronto per l’uso o da diluire in acqua, questo prodotto è 100% naturale e biodegradabile. Quindi nel caso lo dobbiate diluire, non ci sono problemi per gli organismi acquatici, qualora ne versiate il residuo nel lavandino. Soprattutto, questo prodotto può essere applicato su alberi da frutto e piante in fiore senza alcun impatto su insetti impollinatori (e su noi stessi, nel caso ci siano frutti pronti ad essere raccolti).

    3. Applicare un prodotto Anti-Cocciniglia

    Lo step finale è sempre raccomandato. Più che altro per non dover ricominciare da capo due settimane dopo il lavaggio. È possibile scegliere tra prodotti più o meno naturali. Tra quelli naturali il più efficace è l’Olio di Neem, un estratto utile sia come antiparassitario, sia come rafforzatore della fotosintesi, ottimo perchè in grado di attraversare l’intera lamina fogliare, nutrendo al tempo stesso la pianta. Altro prodotto naturale molto valido è l’Olio di Lino, che, come l’Olio di Neem, agisce per contatto. Tra i prodotti chimici, per la Cocciniglia, funzionano anche quelli “Universali”. Ottima notizia, considerato che, nel corso della stagione calda, le vostre piante potrebbero essere attaccate da altri parassiti. Di seguito un paio di suggerimenti:

    Olio di Neem: in caso optiate per l’Olio di Neem dovrete ripetere il trattamento ogni settimana. Mediamente dopo 3-4 trattamenti, il problema è risolto, ma dipende dal livello di gravità dell’infestazione.

    CIFO Olio di Lino: come detto, alternativo all’olio di neem questa di CIFO è una soluzione di qualità e molto pratica, dal momento che la miscela è già pronta. Per quanto riguarda frequenza e numero di trattamenti, non cambia nulla rispetto all’olio di neem.

    KB BioPolysect: utilizzabile anche contro Ragnetto Rosso, Acari e Mosca Bianca, questo prodotto  a base di olio di colza è un passepartout per la salute delle vostre piante.

    Perchè è meglio non usare l’Olio Bianco

    Un’ultima cosa sui possibili prodotti da impiegare: tra questi non ho citato l’Olio Bianco, di cui forse avrete sentito parlare. Non mi sento di consigliarlo per un semplice motivo: l’olio bianco agisce per soffocamento sulla cocciniglia, costituendo una patina sulla superficie della pianta. Il guaio è che, ricoprendo la pianta, rende molto più difficoltosa la respirazione dei tessuti e, soprattutto in estate (che è il periodo in cui la cocciniglia prolifera), questo potrebbe essere un problema. Col caldo e le tante ore di luce, le piante “respirano” molto di più, sono molto più attive; andare ad impiegare un prodotto che incide su uno dei loro processi vitali, non è proprio il massimo.  

    E la cocciniglia radicale?

    Non mi sono dimenticato di lei, la più insidiosa tra le cocciniglie, la cocciniglia radicale. È chiaro che i metodi sopra descritti non possono essere applicati a questo tipo di cocciniglia, purtroppo. O meglio i concetti restano gli stessi, il lavaggio delle parti attaccate e la rimozione dei parassiti, ma trattandosi di radici, una parte davvero delicata della pianta, non mi sento di suggerire l’impiego di prodotti specifici. A parte il sapone di marsiglia! Già, in questo caso può aver senso usarlo. Più nel dettaglio, quello che dovrete fare è certamente la sostituzione completa del substrato di coltivazione. Prima però dovrete procedere al lavaggio delle radici. Aiutatevi con un pennellino imbevuto costantemente in una soluzione ben amalgamata di acqua e sapone di marsiglia (circa 10-15 grammi per mezzo litro d’acqua). Fate un lavoro minuzioso, le radici devono essere belle pulite, senza un granello di cocciniglia, e di terra. Una volta pulite, lasciate la pianta asciugare per qualche giorno e rimettetela poi a dimora, in terriccio nuovo, somministrando acqua. Il problema non dovrebbe più ripresentarsi.

    Considerazioni Finali

    La Cocciniglia, per quanto più semplice da trattare rispetto ad altri ospiti indesiderati, è pur sempre un parassita e come tale va affrontato. Non esistono metodi per prevenirne la comparsa, ma essendo molto facilmente individuabile, una cosa la potete fare: ogni anno, tra febbraio e marzo, al cambiare delle temperature, esaminate spesso le vostre piantine; in estate se avete dubbi su qualche pianta grassa, svasatela senza esitare. Al primo accenno di puntini o batuffolini bianchi, via al lavaggio!

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    5 Piante con Fiori Ideali per Balconi in Pieno Sole

    5 Piante con Fiori Ideali per Balconi in Pieno Sole

    Scritto da Massimo Tortorici, 5 Apr 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

    Con questo articolo provo a darvi qualche idea in più, per far esplodere di fiori, e senza grosso sforzo, il vostro balcone esposto a favore di sole.

    Siamo in primavera, e come ogni primavera che si rispetti, c’è una vera e propria corsa a riempire i propri balconi e terrazzi con piante e fiori di ogni tipo. I vivai sono letteralmente presi d’assalto, e anche i supermercati più forniti provano a partecipare a questa grande festa delle piante fiorate. I più venduti sono sicuramente loro, le piante più resistenti, facili da coltivare e in grado di riempirsi di fiori del colore che preferiamo: i Gerani. Seguono in classifica le Margherite: Perenni, Africane, Alpine, ce n’è per tutti i gusti. Ma siamo sicuri che sia la scelta migliore? Entrare, ogni primavera, in un vivaio per comprare piante fiorate da mettere in balcone, è davvero quello che vogliamo? Margherite e Gerani hanno qualche limite. Le Margherite, soprattutto in Nord-Italia rischiano grosso in inverno e, se arrivano all’anno successivo, rimane solo la parte alta della pianta, lasciando in vista dei tronchi legnosi non proprio bellissimi. I Gerani sono molto resistenti, è vero, ma sono spesso attaccati dalle famose Farfalle del Geranio, e, un attacco dopo l’altro, si rovinano. In ogni caso, sono entrambe scelte condivisibili, ma forse, nel momento in cui pensate di abbellire il vostro balcone mediamente assolato, non state considerando tutte le opzioni. Con questo articolo provo a darvi qualche idea in più, per far esplodere di fiori, e senza grosso sforzo, il vostro balcone esposto a favore di sole (se avete un balcone esposto a Nord, in quest’altro articolo provo a darvi qualche altro consiglio).

    Plumbago

    Cominciamo dalla pianta che più assomiglia ad una delle due nominate poco fa: il Plumbago. La somiglianza, nello specifico, è con il Geranio. Il fiore del Plumbago ha un aspetto molto simile a quello del Geranio, con il quale condivide anche il non-profumo. Il portamento però è totalmente diverso. Il Plumbago, infatti, viene anche chiamata Gelsomino Azzurro, per il suo portamento cespuglioso, per la sottigliezza degli steli e per l’aspetto delle foglie. I cespugli di Plumgabo, se gli si da spazio, possono raggiungere dimensioni davvero notevoli, durante la bella stagione. Questo aspetto, unito al fatto che è in grado di produrre tanti fiori azzurri, uno dopo l’altro (se usate un buon concime liquido per piante fiorate), è la chiave del successo del Plumbago. Una pianta in grado di occupare pienamente tutto lo spazio a propria disposizione e che, tra l’altro, è molto resistente ai parassiti. L’unico aspetto vagamente negativo da considerare è la perdita parziale di foglie, in inverno. Voi potatelo a dovere e vedrete che ad ogni primavera esploderà, prima di germogli, poi di fiori.

    Lantana

    Questa è forse la pianta di minor appeal tra quelle proposte in questo articolo. Già, ma la Lantana è anche super affidabile. Per quale motivo è di scarso appeal? Beh, perché la si trova davvero dappertutto, aiuole, giardini pubblici e privati, zone incolte. Il motivo è molto semplice: la Lantana è una pianta coriacea, in grado di resistere, soprattutto ai parassiti. I fiori della Lantana (anche in questo caso, non profumati) sono piccolini e si raggruppano a formare un ombrellino, spesso con un colore di base espresso in 2-3 gradazioni differenti; si parte ad esempio dal giallo dei fiorellini più centrali di un singolo gruppo, passando poi all’arancione e quasi al rosso per i fiorellini più esterni. A dir la verità il colore è sempre lo stesso, ma con il passare dei giorni i primi fiorellini sbocciati (quelli esterni) scuriscono. La Lantana, con l’inverno, tende a rovinarsi, ed è consigliata la potatura. In primavera sarà una delle prime piante a germogliare, vedrete, e, se la posizione scelta è molto assolata, dovrete fare anche una potatura di mezza estate, se non vorrete che i suoi lunghi rami arrivino fino al balcone del piano superiore al vostro!

    Fiore di Plumbago
    Fiore di Lantana

    Hibiscus

    Questa è la pianta fuori categoria. Non tanto per il profumo dei fiori (anche in questo caso, niente profumo), quanto per la loro dimensione. Basti pensare che un singolo fiore di Hibiscus, con il suo iconico pistillo e i suoi grandi petali equivale, in dimensioni, a circa 15 “grappoli di fiori” di Lantana! I colori accesi dei fiori di Hibiscus sono in grado di regalare emozioni e toni esotici a qualsiasi balcone. Una bellezza che va preservata con un minimo di sforzo in più, rispetto alle altre piante presentate in questo articolo. In particolare, sono due i nemici principali dell’Hibiscus: gli afidi e il freddo. Per i primi, l’aspetto positivo è che si tratta di parassiti facili da individuare e anche da trattare, come spiego meglio in questo articolo. Per quanto riguarda il freddo (invernale), invece, potete ovviare coprendo la pianta con tessuto non-tessuto, oppure spostandola in posizione più riparata, ma pur sempre soleggiata. Dare ai vostri Hibiscus qualche ora di sole diretto, anche in inverno, è fondamentale. Non spaventatevi se durante l’inverno (e a inizio primavera) i fiori saranno più piccoli e scoloriti. Con l’arrivo della primavera, riacquisiranno colore e dimensione che vi hanno fatto perdere la testa il giorno in cui li avete comprati.

    Dipladenia

    Ecco un’altra pianta che, come la precedente, ha un background fortemente esotico. Rispetto alle precedenti, la Dipladenia, ha un portamento del tutto diverso: né cespuglioso, né arbustivo, ma rampicante. Per la verità, non c’è nessun obbligo di far crescere le vostre Dipladenie su un traliccio, anzi, molti le lasciano crescere selvaggiamente in modalità ricadente. Però una Dipladenia riesce molto bene in modalità rampicante, più che altro per la sua capacità di riempire lo spazio a disposizione con fiori di dimensione media, coloratissimi, e soprattutto continui per l’intera stagione calda. A prescindere dal portamento che preferite, la Dipladenia in inverno va potata, per farla ripartire sana e rigogliosa in primavera. Anche lei, come l’Hibiscus, soffre un po’ gli attacchi degli afidi; come detto però non è così difficile individuarli e debellarli. Di colori dei fiori ce n’è diversi, potrete sbizzarrirvi. Un paio di Dipladenie, insomma, non ve le toglie nessuno!

    Fiore di Hibiscus
    Fiore di Dipladenia

    Rincospermum

    Dopo tante piante con fiori bellissimi, ma non profumati, eccone una che capovolge la regola: il Rincospermum, detto anche Falso Gelsomino. Questo nomignolo è dovuto difatti a diverse somiglianze che questa pianta ha con il Vero Gelsomino, in particolare i fiori: bianchi, della stessa forma e, soprattutto, profumatissimi come quelli del Gelsomino. La fioritura del Rincospermum però, avviene prettamente in un’unica ondata, entro metà primavera e in quantità industriale. Il profumo è irresistibilmente forte e perdura per un paio di settimane. Un peccato però, il fatto che non duri fino ad ottobre, direte voi. Vero, ma il Rincospermum ha dalla sua il fatto di essere in grado di riempire molto più un traliccio, un’intera parete, o una cancellata di verde (e di bianco, quando fiorisce), rispetto al Vero Gelsomino, più cespuglioso e disordinato; in più è molto resistente, sia alle correnti d’aria fredda, sia agli attacchi parassitari. Insomma, se volete andare sul sicuro per avere una fitta siepe, all’occorrenza fiorata e profumata, andate sul Rincospermum.

    Considerazioni Finali

    Le piante citate in questo articolo, sono solo alcune delle possibili piante con fiori da tenere in considerazione per abbellire i propri balconi, terrazzi, giardini. I Gerani sono sempre una delle scelte migliori, sia chiaro, altrimenti non avrebbero il successo di massa che hanno. Se però lo spazio che volete riempire è ben soleggiato, e le temperature minime della vostra zona non vanno quasi mai sotto lo zero, sappiate che potete sbizzarrirvi: Hibiscus, Dipladenie, Lantane…prendetene 2-3 varietà per ciascuna e lasciate che il vostro balcone esploda di colori accesi per tutta la bella stagione!

    Massimo Tortorici

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    Quale terriccio usare per il rinvaso di una pianta

    Quale Terriccio Usare per il Rinvaso di una Pianta

    Scritto da Massimo Tortorici, 18 Mar 2022. Pubblicato in Caffè Tropicale.

    Il terriccio “Universale”, quello che viene venduto come compatibile con tutte le piante coltivabili sulla faccia della terra, non va bene. Specifico: non va bene se usato da solo, ma è OK se viene mischiato a tutta una serie di altre cose.

    È primavera, avete tanta voglia di fare e l’entusiasmo non vi manca, in tutti i campi. Se, come credo, vi piacciono un po’ le piante, state pensando “Finalmente è arrivato il momento di rinvasare quell’Anthurium che non entra più nel vaso” o ancora “Ora sostituisco il terriccio di quella Calathea, è lo stesso da due anni!”. Ed ecco che vi viene in mente quel terriccio universale bio che avete visto in offerta al supermercato dove siete solite/i andare; oppure decidete che è giusto investire qualche euro in più, comprando un terriccio adatto per quella categoria di pianta. Beh, mi spiace dirvelo, ma, in entrambi i casi, non state facendo una scelta ottimale. In questo articolo proverò a spiegarvi perché, dandovi anche qualche consiglio sul tipo di terreno più adatto per le vostre piante.

    Perchè il terriccio universale non va bene

    Partiamo dal concetto principale. Il terriccio “Universale”, quello che viene venduto come compatibile con tutte le piante coltivabili sulla faccia della terra, non va bene. Specifico: non va bene se usato da solo, ma è OK se viene mischiato a tutta una serie di altre cose. Vi starete chiedendo “perché non va bene? Le piante stanno in terra, il terriccio è universale, quindi..” eh no, qui sta l’errore! Quelle che teniamo in casa (e in balcone), sono piante che in natura, non fanno crescere le loro radici in un vaso di diametro 30 cm e altezza 25, non vivono in un ambiente privo di insetti e micro-organismi, con ricircolo dell’aria minimo e non sopravvivono in condizioni di luce non esattamente corrispondenti ai loro desideri. Insomma, il problema per cui non va bene usare solo il terriccio universale, per un rinvaso, vi sembrerà strano, ma è collegato a tutti questi elementi.

    Cosa serve al substrato di una pianta da interno (e da esterno)

    Ok, l’ho presa alla larga, lo ammetto. Volete sapere cosa serve al terreno in cui mettete a dimora la vostra bella pianta quando la rinvasate? Eccoli messi in fila:

    • Apporto nutritivo costante
    • Umidità a livelli congeniali
    • Buon livello di arieggiamento
    • Capacità Drenante

    Sembra complicato, ma in natura, in realtà, è tutto molto semplice. Gli animali che “pascolano” nei dintorni di qualsiasi pianta forniscono l’apporto nutritivo costante di cui esse hanno bisogno, principalmente grazie alle loro deiezioni. Lo stesso fanno gli insetti che abitano nel terreno, che, inoltre, lo smuovono continuamente, garantendone l’arieggiamento. Il resto lo fa la composizione del terreno, ricco dei micro- e macro-elementi più adatti al tipo di pianta che vi cresce, in grado di massimizzare il livello di umidità esterno ed interno di quello specifico habitat, e di drenare l’acqua in eccesso (o di trattenerla) se serve. Magia? No, semplicemente Madre Natura. Quello che facciamo noi quando coltiviamo piante in casa, è provare ad imitarne la perfezione. Comporre il giusto mix di terra in cui far crescere una particolare pianta, è solo uno dei pezzi di questo puzzle.

    I limiti dei terricci specifici commerciali

    Li abbiamo citati nell’introduzione. Si tratta di terricci venduti come ideali per piante verdi, per piante grasse, terricci per la coltivazione di agrumi, adatti a piante fiorate, etc. Ora, tutti questi terricci specifici sono in effetti diversi dal terriccio universale e, a seconda della categoria di piante per cui sono studiati, presentano delle componenti adatte a quel tipo di coltivazione. Il problema però è la concentrazione di questi elementi, molto scarsa, in tutti i casi. Facciamo un esempio: il terriccio per piante verdi in genere contiene perlite, elemento di cui si parlerà a breve; peccato che il rapporto sia 1 a 100 (un granello di perlite per 100 granelli di terra), quando invece dovrebbe essercene 20-25 volte tanto. Sveliamo però la prima notizia in grado di darvi sollievo: per le piante che tenete fuori in balcone 12 mesi l’anno e per le piante grasse, questi terricci specifici vanno bene, alla fine. E cioè sono ok, le piante ci si adattano a sufficienza, nel caso delle grasse, perché sono piante che in genere non hanno grosse pretese, nel caso delle piante da esterno, perché tutto sommato stando fuori sperimentano condizioni ambientali più naturali (maggior ricambio d’aria, più luce, più fotosintesi e terreni che si asciugano prima). Per tutte le altre piante verdi, spesso tropicali, che tenete in casa, beh, può esservi utile leggere le prossime righe.

    Semplice Terriccio Universale

    Elementi da utilizzare per un buon substrato

    E allora, quali sono questi elementi magici che fanno crescere le nostre piante da interno sane e rigogliose?
    Eccovi una breve sintesi:

    • Chips e Fibra di Cocco: componenti leggeri che si mantengono discretamente umidi, una volta bagnati. Non si compattano fra loro e occupando un discreto spazio, garantiscono un buon arieggiamento.
    • Perlite, Pomice, Lapillo Vulcanico: materiali porosi, in grado di farsi attraversare facilmente dall’acqua e di trattenerne la giusta quantità; fondamentali per mantenere il giusto livello di umidità. La perlite è la più leggera tra i tre e trattiene meno acqua, ma è anche l’inerte più facile da trovare in commercio. Si può usare l’uno o l’altro, a me piace mischiare perlite e pomice o lapillo.
    • Bark: ricavato dalla corteccia di pino, aiuta a creare spazi nel terreno, aumentando il grado di traspirazione ed evitando che le radici soffochino. Meno impermeabile della fibra di cocco, ma più facilmente asciugabile del terriccio vero e proprio.
    • Orchiata: fratello maggiore del bark, da utilizzare per rinvasi di piante importanti, vista la dimensione.
    • Zeolite: minerale noto per l’elevata capacità di assorbire chimicamente gli elementi nutritivi dei concimi liquidi, rilasciandoli gradualmente. Venduta in “pietruzze”, sul mercato ci sono alcuni substrati fatti di vari materiali minerali aventi queste proprietà (inclusa la Zeolite e la Pomice) come ad esempio il Lechuza-Pon. Un altro minerale valido, con caratteristiche simili alla Zeolite, in termini di leggerezza e capacità di massimizzare la resa dei concimi liquidi è la Vermiculite.

    Questi appena elencati, sono elementi che possono essere usati mischiati tra loro, anche senza l’aggiunta di terriccio. Sì, lo so, sembra una cosa molto strana, ma in realtà un esempio concreto, alla portata di tutti è quello delle Orchidee: avete mai visto del terriccio nel vaso di un’Orchidea?

    Tuttavia, a mio avviso, del terriccio universale non si può proprio fare a meno (Orchidee a parte). Il perché lo vediamo nel prossimo paragrafo.

    Bark
    Fibra e Chips di Cocco

    Come compongo il mix adatto alle mie piante?

    Il Mix adatto per le vostre piante andrà deciso sicuramente tenendo conto delle caratteristiche degli elementi illustrati nel paragrafo precedente. Non solo però. Già, perché l’altro elemento da considerare, siete voi. Bisogna infatti tener conto del fatto che meno terriccio nel mix equivale a maggior capacità drenante (cioè molta più acqua che viene espulsa dai fori di drenaggio, anziché rimanere dentro il vaso), e a maggior facilità di asciugatura del mix stesso; tradotto, minore sarà la quantità di terriccio userete nel mix, maggiore sarà la frequenza delle annaffiature. Quindi, se pensate di non essere in grado di innaffiare ogni settimana e di non avere troppa pazienza nel far scolare l’acqua in eccesso (che non deve assolutamente rimanere nei sottovasi), usate più terriccio, altrimenti, osate pure!
    Vediamo alcuni esempi di mix:

    • Marantacee (Calathea, Maranta Leuconeura): piante che hanno bisogno di mantenere un elevato livello di umidità del terreno. Un buon mix potrebbe quindi essere composto da: 25% terriccio, 30% perlite e/o pomice/lapillo, 15% Fibra e Chips di Cocco, 25 % Bark, 5% Zeolite o Pon.
    • Aracee (Alocasia, Monstera, Pothos, Philodendron): piante che hanno bisogno di mantenere un livello di umidità buono e costante. Un’idea potrebbe essere: 20% terriccio, 25% perlite e/o pomice/lapillo, 25% Fibra e Chips di Cocco, 25% Bark, 5% Zeolite o Pon.
    • Altre piante che hanno esigenze di umidità del terreno più basse rispetto ai casi precedenti (Ad esempio Ficus, Kenzia, Pilea Peperomioides): 20% terriccio, 25% perlite e/o pomice/lapillo, 30% fibra e chips di cocco, 20% bark, 5% Zeolite o Pon.

    Naturalmente, tutti questi elementi vanno mischiati assieme, non vanno certo messi a strati all’interno del vaso. In ogni caso si tratta solo di indicazioni di massima, e non è detto che abbiate voglia né modo di comprare tutti gli elementi illustrati. Di base però, oltre al semplice terriccio universale, la Perlite dovete averla (e non avete scuse perché si trova in tutti i vivai); anche il Bark è un elemento imprescindibile.

    Perlite

    Altri elementi utilizzati per creare substrati

    In commercio, oltre a quelli citati sopra, ci sono altri elementi spesso utilizzati. Per semplicità ho cercato di fare una mia personale selezione. Vi riporto per completezza la lista degli esclusi:

    • Torba: materiale naturale che ha la duplice funzione di ossigenare il terreno e nutrirlo. Spesso è presente nei terricci originari delle piante che compriamo, in quanto favorisce la germogliazione. Se proprio volete usarne un pò, tenete conto che in molti terricci universali o per piante verdi, ce n’è in discreta misura.
    • Argilla Espansa: materiale inerte spesso consigliato per aumentare il drenaggio del terreno; per capirci, va confrontato con Perlite e Pomice. Rispetto a queste ultime, però, l’argilla espansa, soprattutto quella da giardinaggio, è divisa in pezzi più grandi ed è meno porosa. Tradotto, trattiene più acqua e quindi mantiene il terreno pericolosamente più umido.
    • Sfagno: tipo di muschio che tutti avrete sentito nominare. Si usa spesso per fare supporti artigianali per Aracee e per far germogliare semi e rizomi. Nel terreno io lo sconsiglio: va tenuto infatti sempre umido, e se per caso dovesse seccarsi troppo (può capitare, se vi dimenticate di innaffiare), tende a compattarsi.
    • Humus di Lombrico: questo è un prodotto ottimo e la sua proprietà è prettamente nutritiva. Fate conto che si tratti di concime a lento rilascio. Nel lungo periodo il suo effetto si estingue, quindi, se usate un buon concime liquido, va bene lo stesso.

    Considerazioni finali

    Se siete arrivate/i fino a qui, vuol dire che gli argomenti trattati un po’ vi hanno convinte/i. Quello dei substrati è un argomento in evoluzione e difficilmente troverete due piantologhi pseudo-esperti che usano le stesse composizioni. Una cosa però è certa: se introdurrete anche solo un terzo dei principi espressi in questo articolo, forse, un giorno non dovrete più pensare, quando una pianta sta male, “Forse le ho dato troppa acqua”.

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